Emil 26
PENSATORI CREPUSCOLARI
Atene stava morendo e, con lei, il culto della conoscenza. I grandi sistemi avevano fatto il loro tempo: limitati al campo concettuale, essi rifiutavano l'ingerenza dei tormenti, la ricerca della liberazione e della meditazione disordinata sul dolore. Poichè la città antica, ormai agonizzante, aveva permesso la conversione degli accidenti umani in teoria, qualsiasi cosa - dallo starnuto alla morte - soppiantava i vecchi problemi. L'ossessione dei rimedi segna la fine di una civiltà; la ricerca della salvezza quella di una filosofia. Platone e Aristotele avevano ceduto a tali preoccupazioni soltanto per esigenze di equilibrio, ma dopo di loro esse predominarono in tutti i settori.
Roma, al suo tramonto, ha raccolto di Atene soltanto gli echi della sua decadenza e i riflessi del suo esaurimento. Quando i greci diffondevano i loro dubbi in tutto l'Impero, il vacillare di quest'ultimo e della filosofia era ormai un fatto virtualmente compiuto. Dato che tutte le domande sembravano legittime, la superstizione dei limiti formali non impediva più l'orgia delle curiosità arbitrarie. L'infiltrazione dell'epicureismo e dello stoicismo trovava un terreno facile: la morale sostituiva gli edifici astratti, la ragione imbastardita diveniva strumento della pratica. Nelle vie di Roma, muniti di ricette diverse di "felicità", pullulavano gli epicurei e gli stoici, esperti in saggezza, nobili ciarlatani sorti ai margini della filosofia per guarire una prostrazione incurabile e generalizzata. Ma alla loro terapia mancavano la mitologia e gli aneddoti strani che, nel rammollimento generale, avrebbero presto fatto la forza di una religione incurante di sfumature, venuta da più lontano di loro.
La saggezza è l'ultima parola di una civiltà che si spegne, il nimbo dei crepuscoli storici, la stanchezza trasfigurata in visione del mondo, la tolleranza estrema prima dell'avvento di altri dèi più freschi - e della barbarie; essa è altresì un vano tentativo di melodia in mezzo ai rantoli della fine che salgono da ogni dove. Perchè il Saggio - teorico della morte limpida, eroe dell'indifferenza e simbolo dell'ultima tappa della Filosofia, della sua degenerazione e della sua vacuità - ha risolto il problema della propria morte... e ha soppresso dunque tutti i problemi. Fornito di ridicolaggini più rare, egli è un caso limite, che si incontra in periodi estremi a conferma eccezionale della patologia generale.
Trovandoci nel punto simmetrico dell'agonia antica, in preda agli stessi mali e vittime di seduzioni egualmente ineluttabili, noi vediamo i grandi sistemi distrutti dalla loro perfezione limitata. Anche per noi tutto diviene materia di una filosofia senza dignità e senza rigore... Il destino impersonale del pensiero si è disperso in mille anime, in mille umiliazioni dell'Idea... Né Leibniz né Kant né Hegel ci sono più di alcun aiuto. Siamo giunti insieme con la nostra morte davanti alle porte della filosofia: marce, e senza più niente da difendere, si aprono da sole... e qualsiasi cosa diventa argomento filosofico. Ai paragrafi si sostituiscono grida: ne deriva una filosofia del fundus animae, la cui intimità si riconoscerebbe nelle apparenze della storia e nei simulacri del tempo.
Anche noi cerchiamo la "felicità", vuoi per frenesia vuoi per disdegno: disprezzarla significa ancora non dimenticarla, e rifiutarla pensandovi; anche noi cerchiamo la "salvezza", non fosse altro che non volendola. E se siamo eroi negativi di un'Età troppo matura, per ciò ne siamo i contemporanei: tradire il proprio tempo o essere suoi devoti esprime - dietro la contraddizione apparente - uno stesso atto di partecipazione. Le grandi debolezze, i sottili sfaceli, l'aspirazione ad aureole intemporali - che conducono tutte alla saggezza -, chi potrebbe non riconoscerli in se stesso? Chi non si sente in diritto di affermare ogni cosa nel vuoto che lo circonda, prima che il mondo svanisca nell'aurora di un assoluto o di una negazione nuova? All'orizzonte c'è sempre un dio che minaccia. Siamo al margine della filosofia, poiché accettiamo la sua fine. Adoperiamoci per far sì che il dio non si insedi nei nostri pensieri, conserviamo i nostri dubbi, le apparenze di equilibrio e la tentazione del destino immanente, giacchè qualsiasi aspirazione arbitraria e balzana è preferibile alle verità inflessibili. Noi cambiamo medicine, senza trovarne neanche una che sia utile ed efficace, perchè non abbiamo fiducia nella quiete che cerchiamo, né nei piaceri che inseguiamo. Saggi incostanti, siamo gli epicurei e gli stoici delle Rome moderne...