Emil 25



LA SOLITUDINE, SCISMA DEL CUORE

Siamo votati alla perdizione ogni volta che la vita non si svela come un miracolo, ogni volta che l'istante non geme più sotto un brivido soprannaturale. Come rinnovare quella sensazione di pienezza, quegli attimi di delirio, quei barbagli vulcanici, quei prodigi di fervore che riducono Dio a un accidente della nostra argilla? Con quale sotterfugio rivivere quella folgorazione in cui la musica stessa ci pare superficiale e quasi un residuo del nostro organo interiore?
Non è in nostro potere rammentare i turbamenti che ci facevano coincidere con l'inizio del movimento, ci rendevano padroni del primo attimo del tempo e artigiani istantanei della Creazione. Di questa non percepiamo più altro che la miseria, la realtà squallida: viviamo per disimparare l'estasi. E non è il miracolo a determinare la nostra tradizione e la nostra sostanza, bensì il vuoto di un universo frustrato nei suoi ardori, inghiottito nelle proprie assenze, oggetto esclusivo del nostro rimuginare: un universo solo davanti a un cuore solo, predestinati, l'uno e l'altro, a distinguersi, e a esasperarsi nell'antitesi. Quando la solitudine cresce al punto di costituire non tanto la nostra condizione quanto la nostra unica fede, noi cessiamo di essere solidali con il tutto: eretici dell'esistenza, siamo banditi dalla comunità dei vivi, la cui sola virtù è di attendere con il fiato sospeso qualcosa che non sia la morte. Ma, affrancati dalla fascinazione di quest'attesa, respinti dall'ecumenicità dell'illusione, siamo la setta più eretica, giacché la nostra stessa anima è nata nell'eresia.

("Quando l'anima è in stato di grazia, la sua bellezza è così sublime e così mirabile che supera di gran lunga tutto ciò che vi è di bello nella natura, e incanta gli occhi di Dio e degli Angeli" [Ignazio di Loyola]. Ho cercato di insediarmi in una grazia qualsiasi, di liquidare gli interrogativi e sparire in una luce ignorante, in qualsiasi luce che disdegnasse l'intelletto. Ma come giungere a quel sospiro di felicità superiore ai problemi, quando nessuna "bellezza" ti illumina, e Dio e gli Angeli sono ciechi?
Un tempo, quando santa Teresa, patrona di Spagna e della tua anima, ti prescriveva un percorso di tentazioni e di vertigini, il baratro trascendente ti riempiva di meraviglia come una caduta nei cieli.Ma quei cieli sono svaniti - così come le tentazioni e le vertigini - e, nel cuore freddo, le febbri di Avila spente per sempre. Per quale stranezza della sorte certi esseri, giunti al punto in cui potrebbero identificarsi con una fede, arretrano per seguire un cammino che non li conduce se non a se stessi - e dunque da nessuna parte? è forse per paura di perdere le loro virtù manifeste, una volta che sia siano stabiliti nelle grazia? Ogni uomo si evolve a scapito delle proprie profondità, ogni uomo è un mistico che si rifiuta di esserlo: la terra è popolata di grazie mancate e di misteri calpestati).