Emil 35



ADDIO ALLA FILOSOFIA

Mi sono allontanato dalla filosofia quando mi è diventato impossibile scoprire in Kant qualche debolezza umana, qualche accento vero di tristezza; in Kant e in tutti i filosofi. Rispetto alla musica, alla mistica e alla poesia, l'attività filosofica discende da una linfa svigorita e da una profondità sospetta, che non hanno attrattiva se non per i timidi e i tiepidi. D'altronde, la filosofia - inquietudine impersonale, riparo presso idee anemiche - è la risorsa di tutti coloro che rifuggono dall'esuberanza corruttrice della vita. Quasi tutti i filosofi sono finiti bene: questo è l'argomento supremo contro la filosofia. La fine di Socrate non ha niente di tragico: è un malinteso, la fine di un pedagogo - e lo stesso Nietzsche è sprofondato nella follia in quanto poeta e visionario : ha espiato le sue estasi, non i suoi ragionamenti.
Non si può eludere l'esistenza con delle spiegazioni, si può solo subirla, amarla o detestarla, adorarla e temerla, in quell'alternanza di felicità e di orrore che esprime il ritmo stesso dell'essere, le sue oscillazioni e le sue dissonanze, le sue veemenze amare e allegre.
Chi di noi non esposto, per imprevisti o per necessità, a una disfatta clamorosa, e chi, allora, non leva le mani in preghiera per poi lasciarle cadere ancora più vuote delle risposte che di dà la filosofia? Parrebbe quasi che la missione di questa consista nel proteggerci finchè la sventatezza della sorte ci lascia procedere al di qua dello sgomento e nell'abbandonarci non appena siamo costretti ad affondarvi. E come potrebbe essere diversamente, se si pensa quanto poco le sofferenze dell'umanità siano entrate nella filosofia? L'esercizio filosofico non è fecondo; è solo onorevole. Si è filosofi sempre impunemente: un mestiere senza destino che riempie di pensieri voluminosi le ore neutre e vacanti, le ore refrattarie al Vecchio Testamento, a Bach e a Shakespeare. E si sono mai materializzati, questi pensieri, in una sola pagina equivalente a un'esclamazione di Giobbe, a un terrore di Macbeth o alla magnificenza di una cantata? Non si discute l'universo; lo si esprime. E la filosofia non lo esprime. I veri problemi non iniziano se non dopo averla percorsa o esaurita, dopo l'ultimo capitolo di un immenso tomo che metta il punto finale in segno di rinuncia davanti all'Ignoto, nel quale si radica ogni nostro istante, e contro cui dobbiamo lottare perchè è naturalmente più immediato, più importante del pane quotidiano. Qui il filosofo ci abbandona: nemico del disastro, è sensato come la ragione e prudente quanto lei. E noi rimaniamo in compagnia di un appestato antico, di un poeta esperto in tutti i deliri e di un musicista la cui sublimità trascende la sfera del cuore. Non cominciamo a vivere realmente se non una volta giunti in fondo alla filosofia, sulla sua rovina, quando abbiamo capito sia la sua terribile insignificanza sia l'inutilità del farvi ricorso, in quanto non è di alcun aiuto.
(I grandi sistemi non sono in fondo che brillanti tautologie. Qual'è il vantaggio di sapere che la natura dell'essere consiste nella "volontà di vivere", nell'"idea" o nella fantasia di Dio o della Chimica? Semplice proliferazione di termini, sottili spostamenti di significato. Ciò che ''è'' resiste alla presa delle parole e l'esperienza intima non ce ne svela niente al di là dell'istante privilegiato e inesprimibile. D'altronde, l'essere stesso non è che una pretesa del Nulla.
Si danno definizioni soltanto per disperazione. Ci vuole una formula; anzi ce ne vogliono molte, non fosse che per fornire una giustificazione allo spirito e una facciata al nulla. Né il concetto né l'estasi sono operanti. Quando la musica ci immerge fin nell'"intimo" dell'essere, noi risaliamo rapidamente alla superficie: gli effetti dell'illusione svaniscono e il sapere si rivela vuoto. Le cose che tocchiamo e quelle che concepiamo sono improbabili quanto i nostri sensi e la nostra ragione; noi siamo sicuri soltanto nel nostro universo verbale, maneggiabile a piacimento - e inefficace. L'essere è muto e lo spirito è ciarliero. Questo si chiama conoscere. L'originalità dei filosofi si riduce a inventare termini. Poichè non vi sono che tre o quattro atteggiamenti davanti al mondo - e più o meno altrettanti modi di morire -, le sfumature che li diversificano e li moltiplicano dipendono solo dalla scelta dei vocaboli, sprovvisti di qualsiasi portata metafisica. Siamo inghiottiti da un universo pleonastico, in cui gli interrogativi e le risposte si equivalgono.)