Emil 86



LA BRAMA DI DOMINIO

Un Cesare è più simile a un sindaco di paese che a uno spirito sovranamente lucido ma privo di istinto di dominio. L'importante è comandare: la quasi totalità degli uomini aspira a questo. Che abbiate in mano vostra un impero, una tribù, una famiglia o un domestico, farete comunque valere le vostre doti di tiranno, glorioso o caricaturale: ai vostri ordini c'è tutto il mondo, o una sola persona. Così si crea la serie di calamità che nascono dal bisogno di dominare... Siamo circondati da satrapi: ciascuno di essi - a seconda dei suoi mezzi - si cerca una folla di schiavi o si contenta di uno solo. Nessuno basta a se stesso: il più modesto troverà sempre un amico o una compagna su cui far valere il proprio sogno di autorità. Chi obbedisce si farà obbedire a sua volta: da vittima diventa carnefice: questo è il desiderio supremo di tutti. Soltanto i mendicanti e i saggi non lo provano - a meno che il loro gioco non sia più sottile...
La brama di potenza permette alla Storia di rinnovarsi rimanendo tuttavia sostanzialmente la stessa; le religioni cercano di combatterla ma riescono soltanto a esasperarla. Se il cristianesimo si fosse realizzato pienamente, la terra sarebbe un deserto o un paradiso. Sotto le forme variabili che l'uomo può rivestire si cela una costante, un'essenza identica, che spiega perchè, contro ogni apparenza di mutamento, noi ci muoviamo in un cerchio - e perché, se perdessimo, a seguito di un intervento soprannaturale, la nostra qualità di mostri e di fantocci, la storia scomparirebbe subito.
Provate a essere liberi: morirete di fame. La società vi tollera soltanto a patto che siate successivamente servili e dispotici; è una prigione senza guardiani - ma dalla quale non si evade senza perire. Dove andare, quando non si può più vivere se non nella città pur non avendone gli istinti, e quando non si è né tanto intraprendenti da mendicare né tanto equilibrati da dedicarsi alla saggezza? Alla fin fine, si rimane lì, come tutti, fingendo di affaccendarsi; ci si decide a questo passo estremo grazie alle risorse dell'artificio, dato che è meno ridicolo simulare la vita che viverla.
Finché gli uomini avranno la passione della città, regnerà in essa un cannibalismo mascherato. L'istinto politico è conseguenza diretta del Peccato, la materializzazione è conseguenza diretta della Caduta. Ciascuno dovrebbe essere preposto alla propria solitudine, invece ciascuno sorveglia quella degli altri. Gli angeli e i banditi hanno i loro capi: come potrebbero le creature intermedie - il grosso dell'umanità - non averne? Togliete loro il desiderio di essere schiavi o tiranni: demolirete la città in un batter d'occhio. Il patto delle scimmie è siglato per sempre; e la storia va per la sua strada, orda affannata tra crimini e sogni. Niente la può fermare: quegli stessi che la esecrano partecipano alla sua corsa...


POSIZIONE DEL POVERO

Proprietari e mendicanti: due categorie che si oppongono a qualsiasi cambiamento, a qualsiasi disordine innovatore. Trovandosi alle due estremità della scala sociale, temono ogni modificazione in bene o in male: sono egualmente sistemati, gli uni nell'opulenza, gli altri nella miseria. Fra loro si collocano - sudore anonimo, fondamento della società - quelli che si agitano, penano, perseverano e coltivano l'assurdità di sperare. Lo Stato si nutre della loro anemia; senza di loro, l'idea di cittadino non avrebbe né contenuto né realtà, così come il lusso e l'elemosina: i ricchi e i barboni sono i parassiti del Povero.
Se ci sono mille rimedi alla miseria, non ce n'è nessuno per la povertà. Come soccorrere coloro che si ostinano a non morire di fame? Nemmeno Dio potrebbe migliorare la loro sorte. Tra i favoriti della fortuna e i cenciosi, circolano questi affamati dignitosi, sfruttati dall'opulenza e dall'accattonaggio, depredati da coloro che, avendo orrore del lavoro, si stabiliscono, a seconda delle possibilità o della vocazione, in salotto o in strada. Ed è così che va avanti l'umanità: con qualche ricco, qualche mendicante - e tutti i suoi poveri...