Emil 148
FISIONOMIA DI UN FALLIMENTO
Sogni mostuosi popolano le drogherie e le chiese: non vi ho sorpreso nessuno che non vivesse nel delirio. Poiché il più piccolo desiderio nasconde una fonte d'insania, è sufficiente conformarsi all'istinto di conservazione per meritare il manicomio. La vita: accesso di demenza che scuote la materia...
Io respiro: ce n'è abbastanza perchè mi si rinchiuda. Incapace di raggiungere la lucidità della morte, striscio nell'ombra dei giorni e se ancora sono è soltanto per la volontà di non essere più.
Un tempo immaginavo di poter frantumare lo spazio con un pugno, giocare con le stelle, fermare la durata o regolarla a mio capriccio. I grandi capitani mi sembravano grandi timidi; i poeti, poveri balbuzienti; non conoscendo la resistenza che ci oppongono le cose, gli uomini e le parole, e credendo di sentire più di quanto l'universo non lo permettesse, mi abbandonavo a un'infinità sospetta, a una cosmogonia sorta da una pubertà inetta a concludersi... Com'è facile credersi un dio con il cuore, e com'è difficile esserlo con la mente! E con quante illusioni devo essere nato per poterne perdere una ogni giorno! La vita è un miracolo che l'amarezza distrugge.
L'intervallo che mi separa dal mio cadavere è per me una ferita; tuttavia aspiro invano alle seduzioni della tomba: poiché non posso privarmi di nulla, né smettere di palpitare, tutto in me mi assicura che i vermi languirebbero sui miei istinti. Incompetente nella vita come nella morte, mi odio, e in questo odio sogno un'altra vita, un'altra morte. E, per aver voluto essere un saggio come non ve ne furono mai, sono solamente un folle tra i folli...