Emil 19
LA CHIAVE DELLA NOSTRA SOPPORTAZIONE.
Chi arrivasse, grazie a un'immaginazione traboccante di pietà, a registrare tutte le sofferenze, a essere contemporaneo di tutte le pene e di tutte le angosce di un istante qualsiasi - supponendo che un simile essere possa esistere -, sarebbe un mostro d'amore e la più grande vittima della storia del cuore. Ma non occorre che ci figuriamo una simile impossibilità. Basta soltanto procedere all'esame di noi stessi, praticare l'archeologia dei nostri allarmi. Se andiamo avanti nel supplizio dei giorni è perchè niente ci può fermare all'infuori dei nostri dolori; quelli altrui ci sembrano giustificabili e tali da poter essere superati: noi crediamo che gli altri soffrano perchè non hanno abbastanza volontà, coraggio o lucidità. Ogni sofferenza che non sia la nostra ci pare legittima o ridicolmente intelligibile; se così non fosse, il lutto sarebbe la sola costante nella mutevolezza dei nostri sentimenti. Ma noi portiamo soltanto il lutto di noi stessi. Se potessimo comprendere e amare l'infinità delle agonie che si trascinano intorno a noi, tutte le vite che sono morti dissimulate, ci occorrerebbero tanti cuori quanti sono gli esseri che soffrono. E se avessimo una memoria miracolosamente attuale che mantenesse presenti tutte quante le nostre pene passate, soccomberemmo sotto un tale fardello. La vita non è possibile se non grazie alle deficienze della nostra immaginazione e della nostra memoria.
La forza che abbiamo ci viene dai nostri oblii e dalla nostra incapacità di rappresentarci la pluralità dei destini simultanei. Nessuno potrebbe sopravvivere alla comprensione istantanea del dolore universale, dato che ogni cuore è fatto solo per una certa quantità di sofferenze. Vi sono come dei limiti materiali alla nostra sopportazione; ciò nonostante, l'espansione di ogni pena li raggiunge e a volte li travalica: questa è troppo spesso l'origine della nostra rovina. Da qui deriva l'impressione che ogni dolore, ogni pena siano infiniti.Lo sono, in effetti, ma soltanto per noi, per i confini del nostro cuore; e anche se questo raggiungesse le dimensioni del vasto spazio, i nostri mali sarebbero più vasti ancora, poichè ogni dolore si sostituisce al mondo, e a ogni pena è necessario un altro universo. La ragione si applica invano a mostrarci le proporzioni infinitesimali dei nostri accidenti; essa fallisce davanti alla nostra tendenza alla proliferazione cosmogonica. Ecco perchè la vera follia non è mai dovuta agli estri o ai disastri del cervello, bensì alla falsa concezione dello spazio che il cuore si crea...