Emil 20
ANNULLAMENTO TRAMITE LA LIBERAZIONE
Una dottrina della salvezza non ha senso se non si parte dall'equazione esistenza-sofferenza. A tale equazione non siamo condotti né da una constatazione istantanea né da una serie di ragionamenti, bensì dall'elaborazione inconscia di tutti i nostri istanti, dal contributo di tutte le nostre esperienze, minime o capitali. Quando vi sono in noi germi di delusioni e quasi un'ansia di vederli schiudersi, il desiderio che il mondo invalidi continuamente le nostre speranze moltiplica le verifiche voluttuose del male. Gli argomenti vengono dopo; la dottrina si costruisce: ciò che ancora rimane è soltanto il pericolo della "saggezza". E se invece non ci si vuole affrancare dalla sofferenza né si vogliono vincere le contraddizioni e i conflitti, se si preferiscono le sfumature dell'incompiuto e le dialettiche affettive all'uniformità di una impasse sublime? La salvezza finisce tutto; e ci finisce. Chi, una volta salvato, osa dirsi ancora vivo? Si vive realmente soltanto grazie al rifiuto di liberarsi della sofferenza e a una sorta di tentazione religiosa dell'irreligiosità. La salvezza tormenta soltanto gli assassini e i santi, quelli che hanno ucciso o superato la creatura; gli altri sguazzono -ubriachi fradici- nell'imperfezione...
Il torto di ogni dottrina della liberazione è di sopprimere la poesia, clima dell'incompiuto.Il poeta si tradirebbe se aspirasse a salvarsi: la salvezza è la morte del canto, la negazione dell'arte e dello spirito. Come sentirci solidali con una conclusione? Possiamo affinare, coltivare i nostri dolori, ma come possiamo emanciparcene senza sospendere noi stessi? Docili alla maledizione, esistiamo solo in quanto soffriamo. Un'anima non cresce e non muore se non per la quantità di insopportabile che è capace di affrontare.