Emil 53
IDOLATRIA DELL'INFELICITà
Tutto quello che costruiamo al di là dell'esistenza bruta, tutte le molteplici forze che danno una fisionomia al mondo, li dobbiamo all'Infelicità - architetto della diversità, fattore intelligibile delle nostre azioni. Quello che esula dalla sua sfera ci supera: che senso può avere per noi un avvenimento che non ci schiacci? Il Futuro ci attende per immolarci: lo spirito si limita a registrare la frattura dell'esistenza e i sensi vibrano soltanto nell'attesa del male... Com'è dunque possibile non meditare sulla sorte di Lucille de Chateaubriand o della Günderrode, e non ripetere con la prima: "Mi addormenterò di un sonno di morte sul mio destino", o non inebriarsi della disperazione che immerse il pugnale nel cuore dell'altra? A parte alcuni esempi di malinconia esaustiva e alcuni suicidi fuori del comune, gli uomini non sono che fantocci imbottiti di globuli rossi per generare la storia e le sue smorfie.
Quando, idolatri dell'infelicità, facciamo di essa il motore e la sostanza del divenire, ci immergiamo nella limpidezza della sorte prescritta, in un'aurora di disastri, in una gehenna feconda... Ma quando, credendo di averla esaurita, temiamo di sopravviverle, l'esistenza sbiadisce e non diviene più. E noi abbiamo paura di riadattarci alla Speranza, di tradire la nostra infelicità, di tradirci...