Emil 65



ULTIMO ARDIMENTO

Se è vero che Nerone esclamò: "Beato te, Priamo, che hai visto la rovina della tua patria", riconosciamogli il merito di aver raggiunto il sublime della sfida, l'ultima ipostasi del gran gesto e dell'enfasi lugubre. Dopo una simile frase, così stupendamente appropriata in bocca a un imperatore, abbiamo diritto alla banalità: anzi, vi siamo costretti! Chi mai potrebbe ancora ambire alla stravaganza? Gli infimi accidenti della nostra trivialità ci costringono ad ammirare quel Cesare crudele e istrione (tanto più che la sua demenza ha conosciuto una gloria maggiore di quella dei sospiri delle sue vittime, visto che la storia scritta è almeno altrettanto inumana degli avvenimenti ai quali essa vi ispira). A paragone con i suoi, tutti gli atteggiamenti sembrano scimmiottature. E se è vero che fece incendiare Roma perchè gli piaceva l'Iliade, c'è mai stato omaggio più sensibile a un'opera d'arte? In ogni caso, è il solo esempio di critica letteraria in azione, di un giudizio estetico attivo.
L'effetto esercitato su di noi da un libro non è reale se non quando ci venga voglia di imitarne l'intreccio, di uccidere se l'eroe uccide, di essere gelosi se è geloso, malati o moribondi se soffre o muore. Ma tutto ciò resta per noi allo stato virtuale o finisce in lettera morta; soltanto Nerone si offre la letteratura come spettacolo; le sue recensioni le fa con la cenere dei propri contemporanei e della capitale...
Era davvero necessario che, almeno una volta, queste parole fossero dette e questi atti compiuti.
Se ne è incaricato uno scellerato. La cosa può consolarci, anzi deve, altrimenti come potremmo riprendere la nostra solita vita e le nostre verità brave e buone?