Emil 75
L'UOMO TARLATO
Non voglio più collaborare con la luce né adoperare il gergo della vita. E non dirò più: "Io sono" senza arrossire. L'impudenza del fiato, lo scandalo del respiro sono legati all'uso di un verbo ausiliare...
è passato il tempo in cui l'uomo pensava a se stesso in termini di aurora; giacendo su una materia divenuta anemica, ora è disposto a compiere il suo vero dovere, quello di studiare la propria perdita e di correrle incontro; eccolo sulle soglie di una nuova èra: quella della Pietà di sé. E questa Pietà è la sua seconda caduta, più netta e più umiliante della prima: è una caduta senza riscatto. Invano egli scruta gli orizzonti: migliaia e migliaia di salvatori vi si profilano, salvatori da farsa, anche loro sconsolati. Egli se ne allontana per prepararsi, nella sua anima sfatta, alla dolcezza di marcire...Giunto nel più profondo del suo autunno, egli oscilla tra l'Apparenza e il Nulla, tra la forma ingannevole dell'essere e la sua assenza: vibrazione tra due irrealtà...
La coscienza occupa il vuoto che segue all'erosione dell'esistenza da parte dello spirito. Occorre l'obnubilazione di un credente o di un idiota per integrarsi alla "realtà" che svanisce all'apparire del minimo dubbio, di un accenno di improbabilità o di un soprassalto di angoscia - altrettanti rudimenti che prefigurano la coscienza e che, una volta sviluppati, la generano, la definiscono e la esasperano.
Sotto l'effetto della coscienza, di questa presenza incurabile, l'uomo accede al suo più alto privilegio: quello di perdersi.
- Malato d'onore della natura, egli ne corrompe la linfa; vizio astratto degli istinti, ne distrugge la forza. L'universo avvizzisce al suo contatto e il tempo fa fagotto...Egli non poteva giungere a compimento - e discendere la china - se non sulla rovina degli elementi. Finita la sua opera, è maturo per scomparire: su quanti secoli ancora diffonderà il suo rantolo?