L'immaginazione concepisce facilmente un avvenire in cui gli uomini esclameranno in coro: "Noi siamo gli ultimi: stanchi del futuro, e ancor più di noi stessi, abbiamo spremuto il succo della terra e spogliato i cieli. Né la materia né lo spirito possono ancora nutrire i nostri sogni: questo universo è arido quanto i nostri cuori. Non c'è più sostanza da nessuna parte: i nostri antenati ci lasciarono in eredità la loro anima a brandelli e il loro midollo tarlato. L'avventura volge al termine; la coscienza muore; i nostri canti si sono dileguati; su di noi splende il sole dei moribondi!"
Se, per caso o per miracolo, le parole svanissero, sprofonderemmo in un'angoscia e in un'ebetudine intollerabili. Questo mutismo improvviso ci esporrebbe al supplizio più crudele. è l'uso del concetto che ci rende padroni dei nostri terrori.
Noi diciamo: la Morte - e questa astrazione ci dispensa dal percepirne l'immensità e l'orrore. Battezzando le cose e gli eventi, eludiamo l'Inesplicabile: l'attività dello spirito è un imbroglio salutare, un gioco di prestigio; ci permette di circolare dentro una realtà addolcita, confortante e inesatta. Imparare a maneggiare i concetti - disimparare a guardare le cose...
La riflessione nacque in un giorno di fuga; la pompa verbale ne fu la conseguenza. Ma quando si ritorna a sé e si è soli - senza la compagnia delle parole - si riscopre l'universo privo di qualificazioni, l'oggetto puro, l'evento nudo: dove attingere l'audacia di affrontarli? Non si specula più sulla morte, si è la morte; anzichè decorare la vita e assegnarle degli scopi, le si toglie ogni ornamento e la si riduce al suo giusto significato: un eufemismo del Male. Le grandi parole: destino, sfortuna, sventura, si spogliano del loro splendore, ed è allora che si scorge la creatura alle prese con organi deboli, schiacciata da una materia prostrata e attonita. Togliete all'uomo la menzogna dell'Infelicità, dategli il potere di guardare dietro questo vocabolo: non potrebbe sopportare nemmeno per un istante la sua infelicità.
Sono l'astrazione, le sonorità senza contenuto, prolisse e ridondanti, che gli hanno impedito di sprofondare, non le religioni e gli istinti.
Quando Adamo fu cacciato dal paradiso, anziché vituperare il suo persecutore si affrettò a battezzare le cose: era l'unico modo di adattarvisi e di dimenticarle - le basi dell'idealismo erano state poste. E quello che fu un semplice gesto, una reazione di difesa nel primo balbuziente, divenne teoria in Platone, Kant e in Hegel.
Per non soffermarci troppo sull'accidente che siamo, noi convertiamo in entità persino il nostro nome: come si può morire quando ci si chiama Pietro o Paolo? Ciascuno di noi, attento più all'apparenza immutabile del proprio nome che alla fragilità del proprio essere, si abbandona a un'illusione di immortalità; se l'articolazione verbale svanisse, saremmo completamente soli; il mistico che sposa il silenzio ha rinunciato alla sua condizione di creatura. Immaginiamolo, per di più, senza fede - mistico nichilista - e avremo il coronamento disastroso dell'avventura terrestre.
... è fin troppo naturale pensare che l'uomo, stanco delle parole, stremato dal ripetersi insulso dei tempi, sbattezzerà le cose e getterà i loro nomi, insieme al proprio, in un grande autodafé in cui le sue speranze saranno inghiottite. Stiamo tutti correndo verso questo modello finale, verso l'uomo muto e nudo...
Sento l'età della Vita, la sua vecchiaia, la sua decripetezza.
Da ere incalcolabili, essa scorre sulla superficie del globo grazie al miracolo di quella falsa immortalità che è l'inerzia; indugia ancora nei reumatismi del Tempo, di quel tempo più vecchio di lei, estenuato da un delirio senile, dalla monotona ripetizione dei suoi istanti, dalla sua durata vaneggiante.
E sento tutta la pesantezza della specie, e ne ho assunto tutta la solitudine. Se solo sparisse! Ma la sua agonia si prolunga verso un'eternità di putrefazione. Concedo a ciascun istante la libertà di distruggermi: non vergognarsi di respirare è da mascalzoni.
Più nessun patto con la vita, più nessun patto con la morte: avendo disimparato a essere, accetto di cancellarmi. Il Divenire - che misfatto!
Passata attraverso tutti i polmoni, l'aria non si rinnova più. Ogni giornata aborre il proprio domani, e io mi sforzo inutilmente di immaginare il volto di un solo desiderio. Tutto mi è di peso: stremato come una bestia da soma che sia stata caricata della Materia, mi trascino dietro i pianeti.
Mi si offra un altro universo - o soccomberò.
Amo solo l'irrompere e lo sprofondare delle cose, il fuoco che le suscita e quello che le divora. La durata del mondo mi esaspera; la sua nascita e la sua scomparsa mi incantano. Vivere sotto la fascinazione del sole verginale e del sole decrepito; saltare le pulsazioni del tempo per afferrarne la prima e l'ultima; fantasticare sull'apparizione degli astri e sul loro dileguarsi; disdegnare la routine dell'essere e precipitarsi verso le due voragini che la minacciano; esaurirsi all'inizio e al termine degli istanti...
... Così si scopre in sé il Selvaggio e il Decadente, coabitazione predestinata e contraddittoria: due personaggi che subiscono la stessa attrazione del passaggio, l'uno dal nulla verso il mondo, l'altro dal mondo verso il nulla: è il bisogno di una doppia convulsione, su scala metafisica. Tale bisogno si traduce, su scala storica, nell'ossessione dell'Adamo che il paradiso espulse e di colui che la terra espellerà: due estremi dell'impossibilità dell'uomo.
Per quello che c'è di "profondo" in noi, siamo esposti a tutti i mali: nessuna salvezza è possibile finché restiamo conformi al nostro essere. Qualcosa deve sparire dalla nostra composizione, e una fonte nefausta esaurirsi; perciò non si dà che un'unica soluzione: abolire l'anima, le sue aspirazioni e i suoi abissi; i nostri sogni ne furono avvelenati; la si deve estirpare, insieme col suo bisogno di "profondità", con la sua fecondità "interiore", e con le altre sue aberrazioni. Lo spirito e la sensazione ci basteranno; dal loro concorso nascerà una disciplina della sterilità che ci preserverà dagli entusiasmi e dalle angosce. Che nessun "sentimento" ci turbi più, e che l' "anima" diventi la più ridicola delle anticaglie...