Emil 101





Non è in potere dell'uomo evitare di perdersi. Il suo istinto di conquista e di analisi estende i suoi domini per dissolvere poi tutto quello che vi si trova; ciò che egli aggiunge alla vita si rivolta contro di essa. Schiavo delle sue creazioni, egli è - in quanto creatore - un agente del Male. Ciò vale per il bricoleur come per il saggio, e - sul piano assoluto - per il più piccolo insetto come per Dio. L'umanità sarebbe potuta rimanere nella stagnazione e prolungare la sua durata, se fosse stata composta solo di bruti e di scettici; ma, invaghita dell'efficacia, ha promosso questa folla affannata e positiva, votata alla rovina per eccesso di lavoro e di curiosità. Avida della propria polvere, ha preparato la sua fine e la prepara ogni giorno. Così, più vicina al suo epilogo che ai suoi inizi, ai propri figli non riserva altro che l'ardore disincantato davanti all'apocalisse...
L'immaginazione concepisce facilmente un avvenire in cui gli uomini esclameranno in coro: "Noi siamo gli ultimi: stanchi del futuro, e ancor più di noi stessi, abbiamo spremuto il succo della terra e spogliato i cieli. Né la materia né lo spirito possono ancora nutrire i nostri sogni: questo universo è arido quanto i nostri cuori. Non c'è più sostanza da nessuna parte: i nostri antenati ci lasciarono in eredità la loro anima a brandelli e il loro midollo  tarlato. L'avventura volge al termine; la coscienza muore; i nostri canti si sono dileguati; su di noi splende il sole dei moribondi!"
Se, per caso o per miracolo, le parole svanissero, sprofonderemmo in un'angoscia e in un'ebetudine intollerabili. Questo mutismo improvviso ci esporrebbe al supplizio più crudele. è l'uso del concetto che ci rende padroni dei nostri terrori.
Noi diciamo: la Morte - e questa astrazione ci dispensa dal percepirne l'immensità e l'orrore. Battezzando le cose e gli eventi, eludiamo l'Inesplicabile: l'attività dello spirito è un imbroglio salutare, un gioco di prestigio; ci permette di circolare dentro una realtà addolcita, confortante e inesatta. Imparare a maneggiare i concetti - disimparare a guardare le cose...
La riflessione nacque in un giorno di fuga; la pompa verbale ne fu la conseguenza. Ma quando si ritorna a sé e si è soli - senza la compagnia delle parole - si riscopre l'universo privo di qualificazioni, l'oggetto puro, l'evento nudo: dove attingere l'audacia di affrontarli? Non si specula più sulla morte, si è la morte; anzichè decorare la vita e assegnarle degli scopi, le si toglie ogni ornamento e la si riduce al suo giusto significato: un eufemismo del Male. Le grandi parole: destino, sfortuna, sventura, si spogliano del loro splendore, ed è allora che si scorge la creatura alle prese con organi deboli, schiacciata da una materia prostrata e attonita. Togliete all'uomo la menzogna dell'Infelicità, dategli il potere di guardare dietro questo vocabolo: non potrebbe sopportare nemmeno per un istante la sua infelicità.
Sono l'astrazione, le sonorità senza contenuto, prolisse e ridondanti, che gli hanno impedito di sprofondare, non le religioni e gli istinti.
Quando Adamo fu cacciato dal paradiso, anziché vituperare il suo persecutore si affrettò a battezzare le cose: era l'unico modo di adattarvisi e di dimenticarle - le basi dell'idealismo erano state poste. E quello che fu un semplice gesto, una reazione di difesa nel primo balbuziente, divenne teoria in Platone, Kant e in Hegel.
Per non soffermarci troppo sull'accidente che siamo, noi convertiamo in entità persino il nostro nome: come si può morire quando ci si chiama Pietro o Paolo? Ciascuno di noi, attento più all'apparenza immutabile del proprio nome che alla fragilità del proprio essere, si abbandona a un'illusione di immortalità; se l'articolazione verbale svanisse, saremmo completamente soli; il mistico che sposa il silenzio ha rinunciato alla sua condizione di creatura. Immaginiamolo, per di più, senza fede - mistico nichilista - e avremo il coronamento disastroso dell'avventura terrestre.
... è fin troppo naturale pensare che l'uomo, stanco delle parole, stremato dal ripetersi insulso dei tempi, sbattezzerà le cose e getterà i loro nomi, insieme al proprio, in un grande autodafé in cui le sue speranze saranno inghiottite. Stiamo tutti correndo verso questo modello finale, verso l'uomo muto e nudo...

Sento l'età della Vita, la sua vecchiaia, la sua decripetezza.
Da ere incalcolabili, essa scorre sulla superficie del globo grazie al miracolo di quella falsa immortalità che è l'inerzia; indugia ancora nei reumatismi del Tempo, di quel tempo più vecchio di lei, estenuato da un delirio senile, dalla monotona ripetizione dei suoi istanti, dalla sua durata vaneggiante.
E sento tutta la pesantezza della specie, e ne ho assunto tutta la solitudine. Se solo sparisse! Ma la sua agonia si prolunga verso un'eternità di putrefazione. Concedo a ciascun istante la libertà di distruggermi: non vergognarsi di respirare è da mascalzoni.
Più nessun patto con la vita, più nessun patto con la morte: avendo disimparato a essere, accetto di cancellarmi. Il Divenire - che misfatto!
Passata attraverso tutti i polmoni, l'aria non si rinnova più. Ogni giornata aborre il proprio domani, e io mi sforzo inutilmente di immaginare il volto di un solo desiderio. Tutto mi è di peso: stremato come una bestia da soma che sia stata caricata della Materia, mi trascino dietro i pianeti.
Mi si offra un altro universo - o soccomberò.


Amo solo l'irrompere e lo sprofondare delle cose, il fuoco che le suscita e quello che le divora. La durata del mondo mi esaspera; la sua nascita e la sua scomparsa mi incantano. Vivere sotto la fascinazione del sole verginale e del sole decrepito; saltare le pulsazioni del tempo per afferrarne la prima e l'ultima; fantasticare sull'apparizione degli astri e sul loro dileguarsi; disdegnare la routine dell'essere e precipitarsi verso le due voragini che la minacciano; esaurirsi all'inizio e al termine degli istanti...
... Così si scopre in sé il Selvaggio e il Decadente, coabitazione predestinata e contraddittoria: due personaggi che subiscono la stessa attrazione del passaggio, l'uno dal nulla verso il mondo, l'altro dal mondo verso il nulla: è il bisogno di una doppia convulsione, su scala metafisica. Tale bisogno si traduce, su scala storica, nell'ossessione dell'Adamo che il paradiso espulse e di colui che la terra espellerà: due estremi dell'impossibilità dell'uomo.

Per quello che c'è di "profondo" in noi, siamo esposti a tutti i mali: nessuna salvezza è possibile finché restiamo conformi al nostro essere. Qualcosa deve sparire dalla nostra composizione, e una fonte nefausta esaurirsi; perciò non si dà che un'unica soluzione: abolire l'anima, le sue aspirazioni e i suoi abissi; i nostri sogni ne furono avvelenati; la si deve estirpare, insieme col suo bisogno di "profondità", con la sua fecondità "interiore", e con le altre sue aberrazioni. Lo spirito e la sensazione ci basteranno; dal loro concorso nascerà una disciplina della sterilità che ci preserverà dagli entusiasmi e dalle angosce. Che nessun "sentimento" ci turbi più, e che l' "anima" diventi la più ridicola delle anticaglie...