Emil 80
III
Mentre il verso permette qualsiasi cosa, e voi potete riversarvi lacrime, onte, estasi - e soprattutto lamenti, la prosa vi impedisce di sfogarvi o di lamentarvi: ciò ripugna alla sua astrazione convenzionale. Essa esige altre verità: controllabili, dedotte, misurate. E se invece rubassimo quelle delle poesia, se saccheggiassimo la sua materia e osassimo quanto i poeti?
Perchè non insinuare nel discorso le loro indecenze, le loro umiliazioni, le loro smorfie e i loro sospiri? Perchè non essere decomposti, imputriditi, cadaveri, angeli o Satana nel linguaggio comune, e tradire pateticamente tanti slanci alati e sinistri? Assai più che alla scuola dei filosofi, è a quella dei poeti che si apprende il coraggio dell'intelligenza e l'audacia di essere se stessi. Le loro "affermazioni" fanno impallidire i discorsi più stranamente impertinenti dei sofisti antichi. Nessuno però le adotta: c'è mai stato un solo pensatore che sia andato lontano quanto Baudelaire, o che abbia ardito mettere in sistema una folgorazione di Lear o un monologo di Amleto? Forse Nietzsche, prima della fine, ma, ahimè!, continuava a ostinarsi nei suoi ritornelli da profeta... E se cercassimo dalla parte dei santi? Certe frenesie di Teresa d'Avila o di Angela da Foligno...Ma vi troviamo troppo spesso Dio, questo nonsenso consolatore che, rafforzando il loro coraggio, ne sminuisce la qualità. Aggirarsi senza convinzione, e soli, fra le verità non è cosa da uomini e neppure da santi; a volte, però, da poeti...
Immagino un pensatore che esclami in un moto di orgoglio: "Mi piacerebbe che un poeta si costruisse un destino con i miei pensieri!". Ma perchè la sua aspirazione fosse legittima, bisognerebbe che lui stesso frequentasse a lungo i poeti, che vi attingesse delizie di maledizione e restituisse loro, astratta e compiuta, l'immagine delle loro stesse cadute o dei loro stessi deliri; bisognerebbe soprattutto che soccombesse alla soglia del canto e, inno vivente al di qua dell'ispirazione, conoscesse il rimpianto di non essere poeta - di non essere iniziato alla "scienza delle lacrime", ai flagelli del cuore, alle orge formali, alle immoralità dell'istante...
...Molte volte ho sognato un mostro malinconico ed erudito, esperto di tutti gli idiomi, intimo di tutti i versi e di tutte le anime, che errasse per il mondo, al fine di pascersi di veleni, di fervori, di estasi, attraverso le Persie, le Cine, le Indie defunte e le Europe morenti - molte volte ho sognato un amico dei poeti, che fosse stato spinto a conoscerli tutti dalla disperazione di non essere dei loro.