Emil 104



IL DISCEPOLO DEI SANTI

Vi fu un tempo in cui anche soltanto pronunciare il nome di una santa mi riempiva di delizia, un tempo in cui invidiavo i cronisti dei conventi, gli intimi di tante ineffabili isterie, di tante illuminazioni e di tanti pallori. Ritenevo che essere il segretario di una santa costituisse la carriera più alta concessa a un mortale. E immaginavo il ruolo di confessore di queste ardenti beate, e tutti i particolari, tutti i segreti che un Pietro di Alvastra ci ha nascosto su Santa Brigida di Svezia, Enrico di Halle su Matilde di Magdeburgo, Raimondo da Capua su Caterina da Siena, frate Arnaldo su Angela da Foligno,Giovanni di Marienwerder su Dorotea di Montau, Clemens Brentano su Anna Katharina Emmerich... Mi pareva che una Diodata degli Ademari o una Diana d'Andalo si elevassero al cielo per il solo fascino del loro nome: esse mi davano il gusto sensuale per un altro mondo.
Quando consideravo le prove di Rosa da Lima, di Liduina di Schiedam, di Caterina Ricci e di tante altre, quando pensavo alla raffinatezza della loro crudeltà verso se stesse, ai loro supplizi di autotorturatrici e alla mortificazione deliberata delle loro attrattive e delle loro grazie, odiavo il parassita delle loro angosce, il Fidanzato senza scrupoli, insaziabile e celeste Don Giovanni, che deteneva il diritto di primo occupante nei loro cuori. Estenuato dai sospiri e dai sudori dell'amore terrestre, mi volgevo verso queste donne, non fosse che per la loro ricerca di un diverso modo di amare. "Se una sola goccia di quello che sento" diceva Caterina da Genova, "cadesse all'Inferno, lo trasformerebbe immediatamente in Paradiso". Attendevo quella goccia che, se fosse caduta, mi avrebbe raggiunto al termine del suo percorso...
Ripetendomi le esclamazioni di Teresa d'Avila, la vedevo gridare all'età di sei anni: "Eternità, eternità", quindi seguivo l'evoluzione dei suoi deliri, dei suoi ardori, dei suoi stati di aridità. Niente di più attraente delle rivelazioni private, che sconvolgono i dogmi e imbarazzano la Chiesa... Mi sarebbe piaciuto conservare il diario di quelle confessioni equivoche, pascermi di tutte quelle nostalgie sospette...
Non è certo in un letto che si toccano i vertici della voluttà: come trovare nell'estasi sublunare ciò che le sante lasciano intuire nei loro rapimenti? Di che genere fossero i loro segreti lo abbiamo appreso grazie a Bernini e alla sua statua della santa spagnola a Roma, che ci induce a non poche considerazioni sull'ambiguità dei suoi deliqui...
Quando ripenso a chi ha avuto il merito di farmi intravedere il culmine della passione, i fremiti più torbidi come quelli più puri, e quella sorta di mancamento in cui le notti si incendiano, in cui il minimo filo d'erba e gli astri si fondono in una voce allegra e convulsa - infinita istantanea, incandescente e sonora quale potrebbe concepirla un dio felice e demente -, quando ripenso a tutto questo, un solo nome mi ossessiona: Teresa d'Avila - e le parole di una delle sue rivelazioni che io mi ripetevo ogni giorno: "Tu non devi più parlare con gli uomini ma solo con gli angeli".
Sono vissuto per anni all'ombra delle sante, pensando che non ci fosse poeta, sapiente o folle che potesse mai eguagliarle. Ho prodigato nel mio fervore per loro tutta la mia capacità di adorazione, di vitalità nei desideri, di ardore nei sogni. E poi...ho cessato di amarle.

SAGGEZZA E SANTITà

Di tutti i grandi malati, i santi sono coloro che sanno trarre il miglior partito dai loro mali.
Nature decise, smodate, sfruttano il loro squilibrio con abilità e violenza. Il Salvatore, loro modello, fu un esempio di ambizione e di audacia, un conquistatore senza pari: la sua forza d'insinuazione, il suo potere di identificarsi con le mancanze e con le tare dell'anima, gli consentirono di fondare un regno che mai spada poté sognare. Appassionato con metodo: questa è la capacità che imitarono coloro che ne fecero il proprio ideale.
Ma il saggio, sdegnoso del dramma e del fasto, si sente lontano dal santo quanto dal gaudente, ignora il romanzo e si crea un equilibrio di disinganno e indifferenza. Pascal è un santo senza temperamento: la malattia ha fatto di lui un po' più di un saggio un po' meno di un santo. Questo spiega i suoi ondeggiamenti e l'ombra scettica che accompagna i suoi fervori. Un bello spirito nell'Incurabile...
Dal punto di vista del saggio, non potrebbe esservi nessuno più impuro del santo; dal punto di vista di quest'ultimo, nessuno più vuoto del saggio. Sta qui tutta la differenza fra l'uomo che capisce e l'uomo che aspira.