Emil 107



ISTERIA DELL'ETERNITà

Capisco che si possa avere il gusto della Croce, ma riprodurre tutti i giorni l'avvenimento trito del Calvario ha un che di meraviglioso, di insensato e di stupido. Poiché alla fine anche il Salvatore, se si abusa delle sue malie, è tedioso al pari di chiunque altro.
I santi furono dei grandi perversi, come le sante furono delle magnifiche voluttuose. Gli uni e le altre - folli di una sola idea - trasformarono la croce in vizio. La "profondità" è la dimensione di coloro che non sono in grado di variare i loro pensieri e i loro appetiti, e che esplorano una stessa ragione del piacere e del dolore. Attenti al fluttuare degli istanti, non siamo capaci di ammettere un avvenimento assoluto: Gesù non potrebbe dividere la storia in due, né l'irruzione della Croce spezzare il corso imparziale del tempo. Il pensiero religioso - forma di pensiero ossessivo - sottrae all'insieme degli avvenimenti una porzione temporale e la investe di tutti gli attributi dell'Incondizionato.
è in questo modo che gli dèi e i loro figli furono possibili...
La vita è il luogo delle mie infatuazioni: tutto ciò che strappo all'indifferenza glielo restituisco quasi immediatamente. Non così agiscono i santi: essi scelgono una volta per tutte. Io vivo per distaccarmi da tutto quello che amo, loro per infatuarsi di un solo oggetto; io assaporo l'eternità, loro vi si inabissano.
Le meraviglie della terra - e, a maggior ragione, quelle del cielo - provengono da un'isteria duratura. La santità: terremoto del cuore, annientamento a furia di credere, espressione culminante della sensibilità fanatica, deformità trascendente... Fra un illuminato e un semplice di spirito vi è maggiore corrispondenza che non fra il primo e uno scettico. Ecco tutta la distanza che separa la fede dalla conoscenza senza speranza, dall'esistenza senza risultato.
 
TAPPE DELL'ORGOGLIO

Frequentando la follia dei santi, vi capita di dimenticare i vostri limiti, le vostre catene, i vostri fardelli, e di esclamare: "Io sono l'anima del mondo; imporporo l'universo con i miei ardori. Ormai non vi sarà più notte: ho preparato la festa eterna degli astri; il sole è superfluo: tutto riluce, e le pietre sono più lievi delle ali degli angeli".
Poi, tra la frenesia e il raccoglimento: "Se non sono questa Anima, almeno aspiro ad esserlo. Non ho forse dato il mio nome a tutti gli oggetti? Tutto mi proclama, dai letamai alle volte celesti: non sono io il silenzio e il frastuono delle cose?"
E, al punto più basso, passata la sbornia: "Sono la tomba delle faville, il ludibrio del verme, una carogna che importuna l'azzurro, un emulo carnevalesco dei cieli, un ex Nulla senza nemmeno il privilegio di essere mai imputridito. Sono dunque giunto a tale perfezione d'abisso da non aver più spazio per decadere?"