Emil 109


INTORNO A CERTE SOLITUDINI

Vi sono cuori in cui Dio non potrebbe guardare senza perdere la propria innocenza. La tristezza è incominciata al di qua della creazione: se il Creatore fosse penetrato più addentro nel mondo, avrebbe compromesso il proprio equilibrio. Chi crede che si possa ancora morire non ha conosciuto certe solitudini, né l'inevitabile dell'immortalità percepito in certe angosce...
è la fortuna di noi moderni aver situato l'inferno in noi stessi: se avessimo conservato la sua antica immagine, la paura, alimentata da duemila anni di minacce, ci avrebbe pietrificati. Non abbiamo più terrori che non siano trasposti soggettivamente: la psicologia è la nostra salvezza, la nostra scappatoia. Un tempo si credette che il mondo fosse uscito da uno sbadiglio del Diavolo; oggi non è più che un errore dei sensi, un pregiudizio dello spirito, un vizio del sentimento. Sappiamo come regolarci davanti alla visione del Giudizio universale di santa Ildegarda o davanti a quella dell'Inferno di santa Teresa: il sublime - quello dell'orrore come quello dell'elevazione - è classificato in qualsiasi trattato sulle malattie mentali. E se conosciamo i nostri mali, non per questo siamo immuni da visioni: ma non ci crediamo più. Versati nella chimica dei misteri, noi spieghiamo tutto, perfino le nostre lacrime. Una cosa resta però inesplicabile: se l'anima è così poca cosa, da dove viene il nostro sentimento della solitudine?
Quale spazio occupa? E come sostituisce, d'un tratto, l'immensa realtà svanita?