Emil 128



L'ARCHITETTO DELLE CAVERNE

La teologia, la morale, la storia e l'esperienza di tutti i giorni insegnano che, per raggiungere l'equilibrio, non c'è un'infinità di segreti - ce n'è uno solo: sottomettersi. "Accettate un giogo" esse ci ripetono "e sarete felici; siate qualche cosa e verrete liberati dalle vostre pene". In effetti, tutto è mestiere quaggiù: professionisti del tempo, funzionari del respiro, dignitari della speranza, un lavoro ci attende ancor prima della nascita: le nostre carriere si preparano nel grembo delle nostre madri. Membri di un universo ufficiale, dobbiamo occuparvi un posto, in virtù di un destino rigido, che non si allenta se non in favore dei folli; essi, almeno, non sono costretti ad avere una fede, ad aderire a un'istituzione, a sostenere un'idea, a seguire un'iniziativa. Da quando la società si è costituita, coloro che hanno voluto sottrarvisi sono stati perseguitati o scherniti. Vi si perdona tutto, purché abbiate un mestiere, una qualifica sotto il vostro nome, un sigillo sul vostro nulla. Nessuno ha l'audacia di esclamare: "Io non voglio fare niente!" - si è più indulgenti con un assassino che non con uno spirito affrancato dagli atti. Moltiplicare le possibilità di sottomissione, rinunciare alla propria libertà, uccidere in sé il vagabondo: così l'uomo ha raffinato la propria schiavitù e si è infeudato ai fantasmi.
Anche i suoi disprezzi e le sue ribellioni, non li ha coltivati se non per esserne dominato, schiavo com'è dei propri atteggiamenti, dei propri gesti e dei propri umori. Uscito dalle caverne, ne ha conservato la superstizione; era loro prigioniero, ne è divenuto l'architetto. Perpetra il suo stato primitivo con maggiore inventiva e sottigliezza; ma, in fondo, ingrandendo o rimpicciolendo la propria caricatura, egli si plagia sfrontatamente. Ciarlatano a corto di trucchi, le sue contorsioni e le sue smorfie incantano ancora.