Emil 130



IL DETERIORAMENTO SUPREMO

C'è qualcosa che rivaleggia con la battona più sordida, qualcosa di sporco, di logoro, di sfatto, che eccita e sconcerta la rabbia - un vertice di esasperazione e un articolo buono per tutti i momenti: è la parola, ogni parola, e più precisamente quella di cui ci si serve. Dico: albero,casa, io, magnifico, stupido - potrei dire qualsiasi cosa, e sogno un assassino di tutti i nomi e di tutti gli aggettivi, di tutti questi rutti decorosi. Talvolta mi sembra che siano morti e che nessuno voglia sotterrarli. Per viltà li consideriamo ancora vivi e continuiamo a sopportare il loro odore senza turarci il naso. Eppure non sono né esprimono più nulla. Quando si pensa a tutte le bocche attraverso le quali sono passati, a tutti gli aliti che li hanno corrotti, a tutte le circostanze in cui sono stati proferiti, ci si può ancora servire di uno solo di essi senza esserne contaminati?
Ce li gettano già belli e masticati; e tuttavia non oseremmo inghiottire un alimento masticato da altri: l'atto materiale che corrisponde all'uso della parola ci dà la nausea; basta, però, un momento di collera per sentire dietro qualsiasi parola un sapore di saliva estranea.
Per rinfrescare il linguaggio bisognerebbe che l'umanità cessasse di parlare: essa ricorrerebbe con profitto ai segni o, più efficacemente, al silenzio. La prostituzione della parola è il sintomo più visibile del suo avvilimento; non ci sono più vocaboli intatti, né articolazioni pure, e tutto si degrada a furia di ripetizioni, finanche le cose significate. Per quale motivo ogni generazione non dovrebbe imparare un nuovo idioma, non fosse che per dare una nuova linfa agli oggetti? Come è possibile amare e odiare, divertirsi e soffrire usando simboli anemici? La "vita", la "morte" - stereotipi metafisici, enigmi desueti... L'uomo dovrebbe crearsi un'altra illusione di realtà e inventare a questo scopo altre parole, poiché le sue mancano di sangue e, al loro stadio di agonia, non c'è più trasfusione possibile.