Emil 138



PROFILO DEL MALVAGIO

A che cosa deve il non aver fatto più male di quanto basti né commesso delitti o vendette più sottili? Il non aver obbedito alle intimazioni del sangue che gli sale alla testa? Ai suoi umori? Alla sua educazione? Certamente no, e ancora meno a una bontà innata; ma soltanto alla presenza dell'idea della morte. Incline a non perdonare niente e nessuno, egli perdona a tutti; il più piccolo torto eccita i suoi istinti; ma lui lo dimentica un attimo dopo. Gli basta rappresentarsi il proprio cadavere e applicare questo stesso metodo agli altri per placarsi di colpo: l'immagine di ciò che si decompone lo rende buono - e vile: non c'è saggezza (né carità) senza ossessioni macabre. L'uomo sano, tutto fiero di esistere, si vendica, ascolta il proprio sangue e i propri nervi, adotta i pregiudizi, replica, schiaffeggia e uccide. Ma colui che è minato dallo sgomento della morte non reagisce più alle sollecitazioni esteriori: abbozza degli atti e li lascia incompiuti; riflette sull'onore, e lo perde; si cimenta con le passioni e le disseziona... Questo sgomento che accompagna i suoi gesti ne indebolisce il vigore; i suoi desideri muoiono sotto la visione dell'insignificanza universale. Astioso per necessità, non potendolo essere per scelta, i suoi intrighi e i suoi misfatti si fermano in corso di educazione; come tutti gli uomini, nasconde in sé un assassino, ma un assassino pervaso di rassegnazione, e troppo stanco per abbattere i suoi nemici o crearsene di nuovi. Sogna, con la fronte sul pugnale, e come deluso, prima ancora di averne fatto l'esperienza, da tutti i crimini; giudicato buono da tutti, sarebbe malvagio se non gli sembrasse vano esserlo.