Emil 16


LE DOMENICHE DELLA VITA

Se i pomeriggi domenicali si protraessero per mesi, dove andrebbe a finire l'umanità, emancipata dal sudore, libera dal peso della prima maledizione? L'esperimento varrebbe la pena d'esser fatto. Con ogni probabilità il crimine diverebbe l'unico svago, la dissolutezza parrebbe candore, l'urlo melodia e il sogghigno tenerezza. La sensazione dell'immensità del tempo farebbe di ogni secondo un supplizio intollerabile, una cornice da esecuzione capitale. Nei cuori pervasi di poesia si insedierebbero un cannibalismo annoiato e una tristezza da iena; i macellai e i carnefici morirebbero di languore, le chiese e i bordelli risuonerebbero di sospiri. L'universo trasformato in pomeriggio domenicale: è la definizione della noia - e la fine dell'universo...
Togliete la maledizione sospesa sopra la Storia: questa si annulla subito, così come l'esistenza, nella vacanza assoluta, svela la propria finzione. Il lavoro costruito nel nulla crea e consolida miti; ebbrezza elementare, esso suscita e mantiene la fede nella "realtà"; ma la contemplazione della pura esistenza, contemplazione indipendente da gesti e da oggetti, assimila soltanto ciò che non è...
Gli sfaccendati afferrano più cose e sono più profondi degli indaffarati. nessun compito limita il loro orizzonte; nati in un'eterna domenica, essi guardano - e si guardano guardare. La pigrizia è uno scetticismo fisiologico, il dubbio della carne. In un mondo ebbro di ozio, soltanto loro non sarebbero assassini. Ma essi non fanno parte dell'umanità e, poichè il sudore non è il loro forte, vivono senza subire le conseguenze della Vita e del Peccato. Non facendo né il bene né il male, disdegnano - spettatori dell'epilessia umana - le settimane del tempo, gli sforzi che asfissiano la coscienza. Che cosa potrebbero temere dal prolungarsi illimitato di certi pomeriggi se non il rimpianto di aver sostenuto evidenze palesamente elementari? Allora l'esasperazione nel vero potrebbe indurli a imitare gli altri e a cedere alla avvilente tentazione del lavoro. Questo è il pericolo che incombe sulla pigrizia - miracolosa sopravvivenza del paradiso.
(L'unica funzione dell'amore è quella di aiutarci a sopportare i pomeriggi domenicali, crudeli e incommensurabili, che ci feriscono per il resto della settimana - e per l'eternità.
Senza l'impulso dello spasmo ancestrale, ci occorerebbero mille occhi per lacrime nascoste, oppure unghie da rosicchiare, unghie chilometriche...Come amazzare altrimenti un tempo che non scorre più? In queste domeniche interminabili il male d'essere si manifesta pienamente. A volte riusciamo a dimenticare noi stessi in qualche cosa; ma come fare a dimenticare noi stessi proprio nel mondo? Tale impossibilità è la definizione di quel male. Chi ne è colpito non guarirà mai, nemmeno se l'universo cambiasse completamente. Solo il suo cuore dovrebbe cambiare, ma esso è immutabile; sicchè, per lui, esistere ha un unico senso: immergersi nella sofferenza - fino a che l'esercizio di una quotidiana nirvanizzazione non lo innalzi alla percezione dell'irrealtà...)
    

Emil 15


PASSEGGIATA SULLA CIRCONFERENZA

Dentro al cerchio che rinchiude gli esseri umani in una comunione di interessi e di speranze, lo spirito nemico dei miraggi si apre una strada dal centro verso la periferia. Non può più udire da vicino il brulichio degli uomini: vuole guardare da più lontano possibile la simmetria maledetta che li collega. Dappertutto vede martiri: gli uni si sacrificano per bisogni visibili, gli altri per necessià incrollabili, pronti tutti a soppellire i loro nomi sotto una certezza; e, poichè non tutti possono riuscirci, la maggior parte espia con la banalità l'eccesso di sangue che ha sognato...Le loro vite sono fatte di un'immensa libertà di morire che essi non hanno messo a profitto: inespressivo olocausto della storia, la fossa comune li inghiotte. Ma il devoto delle separazioni, cercando strade che le orde non infestano, si ritira verso il margine estremo e compie evoluzioni sul tracciato del cerchio, che non può oltrepassare finchè è sottomesso al corpo; e intanto la Coscienza si libra più oltre, totalmente pura in una noia senza esseri né oggetti. Non soffrendo più, superiore ai pretesti che invitano a morire, dimentica l'uomo che la sostiene. Più irreale di una stella scorta in un'allucinazione, essa evoca la condizione di una piroetta siderale - mentre sulla circonferenza della vita l'anima passeggia incontrando sempre soltanto se stessa e la propria impotenza a rispondere all'appello del Vuoto.

Emil 14



IL DIAVOLO RASSICURATO.

Perchè mai Dio è così scialbo, così fiacco, così scarsamente pittoresco? Perchè è privo di interesse, di vigore, di attualità e ci assomiglia così poco? Esiste immagine meno antropomorfica e più gratuitamente lontana? Come abbiamo potuto proiettare in lui così pallidi lumi e forze così incerte? Dove sono defluite le nostre energie, dove si sono riversati i nostri desideri? Chi ha dunque assorbito il nostro eccesso d'insolenza vitale?
Ricorreremo al Diavolo? Ma non potremmo rivolgergli preghiere: adorarlo significherebbe pregare introspettivamente, pregare noi stessi. Non si prega l'evidenza: l'esatto non è oggetto di culto. Noi abbiamo trasferito nel nostro doppio tutti i nostri attributi e, per rivalutarlo con una parvenza di solennità, lo abbiamo vestito di nero: le nostre vite e le nostre virtù in lutto. Dotandolo di cattiveria e di perseveranza, nostre qualità dominanti, ci siamo affannati a renderlo il più vivo possibile; abbiamo consumato le nostre forze per creare la sua immagine, per farlo agile, vivace, intelligente, ironico, e soprattutto meschino. Le riserve di energia a nostra disposizione per creare Dio erano minime. Allora ricorremmo all'immaginazione e a quel po' di sangue che ci restava: Dio non poteva essere che il frutto della nostra anemia - un'immagine malferma e rachitica. Egli è mite, buono, sublime, giusto. Ma chi si riconosce in questo intruglio dal profumo di acqua di rose relegato nella trascendenza? Un essere senza duplicità manca di spessore e di mistero; non nasconde nulla. Soltanto l'impurità è segno di realtà. E se i santi non sono del tutto privi di interesse, è perchè la loro sublimità si mescola al romanzo e la la loro eternità si presa alla biografia; le loro vite rivelano che essi hanno lasciato il mondo per un genere che di tanto in tanto può attirarci...
Poichè trabocca di vita, il Diavolo non ha altari: l'uomo si riconosce troppo in lui per poterlo adorare; lo detesta a ragion veduta; si ripudia, e mantiene gli attributi dell'indigenza divina. Ma il Diavolo non se ne duole e non aspira a fondare una religione: non ci siamo noi a garantirlo dall'inedia e dall'oblio?
 

Emil 13



SUPREMAZIA DELL'AGGETTIVO.

Poichè non può esservi che un numero ristretto di posizioni di fronte ai problemi ultimi, lo spirito si trova limitato nella sua espansione da quel confine naturale che è l'essenziale, da quella impossibilità di moltiplicare indefinitamente le difficoltà capitali: la storia si dedica unicamente a cambiare volto a una quantità di interrogativi e di soluzioni. Ciò che lo spirito inventa è semplicemente una serie di qualificazioni nuove; esso ribattezza gli elementi o cerca nei suoi lessici epiteti meno logori per uno stesso e immutabile dolore. Si è sempre sofferto, ma la sofferenza è stata "sublime", "giusta", o "assurda", a seconda delle concezioni globali alimentate dalla filosofia dell'epoca. L'infelicità costituisce la trama di tutto ciò che respira; ma le sue modalità si sono evolute, hanno formato quella successione di apparenze irriducibili che induce ognuno a credere di essere il primo a soffrire così. L'orgoglio di questa unicità lo incita a invaghirsi del proprio male e a sopportarlo. In un mondo di sofferenze, ciascuna di esse è solipsistica rispetto a tutte le altre. L'aspetto originale dell'infelicità è dovuto alla qualità verbale che la isola nell'insieme delle parole e delle sensazioni...
I qualificativi cambiano; tale cambiamento si chiama progresso dello spirito. Sopprimeteli tutti: che cosa rimane della civiltà? La differenza tra intelligenze e stupidità sta nel modo di maneggiare l'aggettivo, il cui uso uniforme costituisce la banalità. Dio stesso vive soltanto grazie agli aggettivi che gli vengono aggiunti; questa è la ragion d'essere della teologia. E quindi l'uomo, qualificando in modo sempre diverso la monotonia della sua infelicità, non si giustifica dinnanzi allo spirito se non in virtù della ricerca appassionata di un nuovo aggettivo.

(E tuttavia questa ricerca è patetica. La miseria dell'espressione, che è la miseria dello spirito, si manifesta nella povertà delle parole, nel loro esaurirsi e nel loro degradarsi: gli attributi con cui definiamo le cose e le sensazioni giacciono alla fine davanti a noi come carogne verbali. Perciò volgiamo sguardi pieni di rimpianto al tempo in cui le parole emanavano semplicemente un odore di chiuso. Ogni alessandrinismo deriva inizialmente dal bisogno di arieggiare le parole, di supplire al loro avvizzimento con una raffinatezza vigile; ma finisce in una prostrazione nella quale lo spirito e il verbo si confondono e si decompongono. Tappa idealmente estrema di una letteratura e di una civiltà: immaginiamoci un Valery con l'anima di un Nerone...Fino a che i nostri sensi freschi e il nostro cuore ingenuo si ritrovano e si dilettano nell'universo delle qualificazioni, essi prosperano secondando l'aggettivo, il quale, una volta anatomizzato, si rivela improprio e manchevole. Dello spazio, del tempo, e della sofferenza noi diciamo che sono infiniti; ma infinito non ha più valore di "bello", "sublime", "armonioso", "brutto"...Vogliamo imporci di vedere in fondo alle parole? Non si vede nulla, per il motivo che ognuna di esse, staccata dall'anima espansiva e fertile, è vuota e inconsistente. Il potere dell'intelligenza si esercita a proiettare lustro su di esse, a levigarle e a renderle splendenti; questo potere, eretto a sistema, si chiama cultura -fuoco d'artificio dietro il quale c'è il nulla).

Emil 12



COALIZIONE CONTRO LA MORTE

Come immaginare la vita degli altri, quando già sembra a malapena concepibile la propria? Si incontra un uomo, lo si vede immerso in un mondo impenetrabile e ingiustificabile, in un cumulo di convinzioni e di desideri che si sovrappongono alla realtà, come un edificio malsano. Essendosi forgiato un sistema di errori, egli soffre per motivi la cui vacuità è tale da spaventare lo spirito, e si consacra a valori la cui ridicolaggine salta agli occhi. Potrebbe mai ogni sua iniziativa apparire qualcosa di più che un'inezia, e la simmetria febbrile dei suoi affanni essere più fondata di un'architettura di fandonie?
All'osservatore esterno, l'assoluto di ogni vita si rivela intercambiabile, e ogni destino, pur inamovibile nella sua essenza, arbitrario. Quando le nostre convinzioni ci paiono frutto di una frivola demenza, come riuscire a tollerare la passione degli altri per se stessi e per il proprio moltiplicarsi nell'utopia quotidiana? Che cosa costringe ciascuno a rinchiudersi in un proprio, particolarissimo, mondi di predilezioni?
Quando subiamo le confidenze di un amico o di uno sconosciuto, la rivelazione dei suoi segreti ci colma di stupore. Dobbiamo attribuire i suoi tormenti al dramma o alla farsa? Ciò dipende totalmente dalla benevolenza o dall'esasperazione della nostra stanchezza. Poichè ogni destino è soltanto un ritornello che guizza intorno a qualche macchia di sangue, a seconda del nostro umore noi vedremo nel concatenarsi delle sue sofferenze un ordine superfluo e ameno o un pretesto di pietà.
Dal momento che non è facile approvare le ragioni invocate dagli esseri umani, ogni volta che ci si separa da uno di loro la domanda che viene alla mente è invariabilmente la stessa:
come mai non si decide a uccidersi?
Giacché niente è più naturale che immaginarsi il suicidio degli altri.
Quando si è intravista, con un'intuizione sconvolgente e facilmente rinnovabile, la propria inutilità, è incomprensibile che chiunque non faccia altrettanto.Togliersi la vita sembra un atto tanto chiaro e semplice! Perchè è così raro, perchè tutti lo evitano? Il fatto è che, se la ragione sconfessa la voglia di vivere, il nonnulla che fa prolungare gli atti è comunque di una forza superiore a tutti gli assoluti; esso spiega la tacita coalizione dei mortali contro la morte; esso non è solo il simbolo dell'esistenza, ma è l'esistenza stessa, il tutto. E questo nonnulla, questo tutto non può dare un senso alla vita, ma la fa nondimeno perseverare in ciò che essa è: uno stato di non suicidio.

Emil 11



ESEGESI DEL DECADIMENTO

Ognuno di noi è nato con una dose di purezza, predestinata a essere corrotta dal commercio con gli uomini, da questo peccato contro la solitudine. Giacché ognuno di noi fa l'impossibile per non essere votato a se stesso. Il nostro simile non è fatalità bensì tentazione di decadimento. Incapaci di mantenere pulite le nostre mani e inalterati i nostri cuori, ci avvoltoliamo, assetati di disgusto e bramosi di pestilenza, nel fango unanime. E quando sogniamo mari convertiti in acqua benedetta, è troppo tardi per immergervisi, e la nostra
corruzione troppo profonda ci impedisce di annegarvi: il mondo ha infestato la nostra solitudine; su di noi le tracce degli altri diventano indelebili.
Nella scala delle creature, soltanto l'uomo ispira un disgusto costante. La ripugnanza che provoca una bestia è passeggera, non matura in alcun modo nel pensiero, mentre i nostri simili assillano le nostre riflessioni, si infiltrano nel meccanismo del nostro distacco dal mondo per confermarci nel nostro sistema di rifiuto e di non adesione. Dopo ogni conversazione, la cui raffinatezza indica da sola il livello di una civiltà, perchè mai è impossibile non rimpiangere il Sahara e non invidiare le piante o i monologhi infiniti della zoologia?
Se con ogni nostra parola riportiamo una vittoria sul nulla, è solo per subirne ancora più il dominio. Noi moriamo in proporzione alle parole che spargiamo intorno a noi... Coloro che parlano non hanno segreti. E
tutti noi parliamo. Ci tradiamo, esibiamo il nostro cuore; carnefice dell'indicibile, ognuno di noi si accanisce nella distruzione di tutti i misteri, a cominciare dai propri. E se ci incontriamo con gli altri, è per avvilirci insieme in una corsa verso il vuoto - che sia negli scambi di idee, nelle confessioni o negli intrighi. La curiosità non ha provocato soltanto la prima caduta, ma anche quelle innumerevoli di tutti i giorni. La vita non è altro che questa impazienza di decadere, di prostituire le solitudini verginali dell'anima mediante il dialogo,
negazione immemoriale e quotidiana del Paradiso. L'uomo dovrebbe ascoltare solo se stesso nell'estasi senza fine del Verbo intrasmissibile, forgiarsi parole per i propri silenzi e accordi percettibili unicamente ai propri rimpianti. E invece è il chiacchierone dell'universo: parla a nome degli altri; il suo io ama il plurale. E chi parla a nome degli altri è sempre un impostore. I politici, i riformatori e tutti coloro che si appellano a un pretesto collettivo sono dei truffatori. L'unica menzogna che non sia totale è quella dell'artista, poichè egli non inventa che se stesso. Al di fuori dell'abbandono all'incomunicabile, della sospensione nel bel mezzo delle nostre emozioni sconsolate e mute, la vita non è che fragore su una distesa senza coordinate, e l'universo una geometria epilettica.

(Il plurale implicito del "sì" e quello esplicito del "noi" costituiscono il confortevole rifugio dell'esistenza falsa. Soltanto il poeta si assume la responsabilità dell'"io", soltanto lui parla a nome di se stesso, soltanto lui ha il diritto di farlo. La poesia s'imbastardisce quando diviene permeabile alla profezia o alla dottrina: la "missione" soffoca il canto, l'idea intralcia il volo. Il lato "generoso" di Shelley rende effimera gran parte della sua opera: Shakespeare, per fortuna, non ha mai "servito" nulla. Il trionfo della non autenticità si attua nell'attività filosofica, questo compiacimento del "sì", e nell'attività profetica (religiosa, morale, politica),
questa apoteosi del "noi". La definizione è la menzogna dello spirito astratto, la formula ispirata la menzogna dello spirito militante: c'è sempre una definizione all'origine di un tempio; una formula vi raduna
ineluttabilmente dei fedeli. è il modo in cui cominciano tutti gli insegnamenti. Come non orientarsi allora verso la poesia? Essa ha - al pari della vita - la scusante di non dimostrare nulla).

Emil 10



LA SUPERBA INUTILITà

All'infuori degli scettici greci e degli imperatori romani della decadenza, tutti gli spiriti paiono asserviti a una vocazione municipale. Essi soltanto si sono emancipati, gli uni con il dubbio, gli altri con la demenza, dalla sciocca ossessione di essere utili. Avendo promosso l'arbitrario al rango di esercizio o di vertigine, a seconda che fossero filosofi o rampolli disincantati degli antichi conquistatori, non erano attaccati a niente: da questo punto di vista ricordano i santi. Ma mentre costoro erano destinati a non crollare mai, quelli invece si trovavano in balìa del loro stesso gioco, padroni e vittime dei propri capricci, veri solitari, poichè la loro solitudine era sterile. Nessuno l'ha presa a esempio, né essi la proponevano; perciò non comunicavano con i loro "simili" se non tramite l'ironia e il terrore...
Essere agenti di dissoluzione di una filosofia o di un impero: si può immaginare fierezza più triste e più maestosa? Uccidere da un lato la verità e dall'altro la grandezza, manie che fanno vivere lo spirito e la comunità; scalzare l'edificio delle lusinghe su cui poggia l'orgoglio del pensatore e del cittadino; piegare, fino a deformarle, le molle della gioia di concepire e di volere; screditare, con le sottigliezze del sarcasmo e del supplizio, le astrazioni tradizionali e i costumi onorevoli - quale effervescenza delicata e selvaggia! Che gusto c'è quando gli dèi non muoiono sotto i nostri occhi? A Roma, dove li si sostituiva, li si importava, dove li si vedeva avvizzire, quale piacere invocare dei fantasmi, pur con l'unica paura che tale sublime volubilità capitolasse davanti all'assalto di qualche severa e impura divinità...Cosa che avvenne.
Non è facile distruggere un idolo: richiede lo stesso tempo che occorre per promuoverlo e adorarlo. Giacchè non basta annientare il suo simbolo materiale, il che è semplice: si devono anche annientare le sue radici nell'anima. Com'è possibile volgere lo sguardo verso le epoche crepuscolari - in cui il passato si dileguava davanti a occhi che solo il vuoto riusciva ad abbagliare - senza essere turbati da quella grande arte che è la morte di una civiltà?
...Ed eccomi quindi a sognare di essere stato uno di quegli schiavi, venuti da un paese improbabile, triste e barbaro, portando con sé, nell'agonia di Roma, una vaga desolazione, abbellita da sofismi greci. Negli occhi vuoti dei busti, negli idoli avviliti da superstizioni in declino, avrei trovato l'oblio dei miei antenati, dei miei gioghi e dei miei rimpianti. Abbracciando la malinconia degli antichi simboli, mi sarei affrancato; avrei condiviso la dignità degli dèi abbandonati, difendendoli dalle croci insidiose, dall'invasione dei servi e dei martiri, e le mie notti avrebbero cercato pace nella demenza e nella dissolutezza dei Cesari. Esperto in disinganni, crivellando con tutte le frecce di una saggezza dissoluta i nuovi fervori - tra le cortigiane, nei lupanari scettici o nei circhi delle crudeltà festose - avrei riempito le mie argomentazioni di vizio e di sangue, per dilatare la logica fino a dimensioni che mai essa aveva sognato, le dimensioni dei mondi che muoiono.
 

Emil 9


IN MARGINE AGLI ISTANTI

è l'impossibilità che mantiene in noi il gusto delle cose e le fa esistere ancora: essa ci impedisce di esaurirne il sapore e di allontanarcene. Quando, lungo tante strade e tante rive, i nostri occhi rifiutavano di annegare in se stessi, preservavano, rimanendo asciutti, l'oggetto della loro meraviglia. Le nostre lacrime sperperano la natura, come le nostre angosce sperperano Dio... Ma, dopotutto, sperperano noi stessi. Giacchè noi non siamo se non rifiutandoci di dare libero sfogo ai nostri desideri supremi: le cose che entrano nella sfera della nostra ammirazione o della nostra tristezza vi restano soltanto perchè non le abbiamo né sacrificate né benedette con i nostri liquidi addii.
...Ed ecco perchè, ritrovandoci dopo ogni notte di fronte a un nuovo giorno, l'irrealizzabile necessità di riempirlo ci colma di spavento; e, spaesati nella luce, come se il mondo si fosse appena messo in moto, avesse appena inventato il suo Astro, noi fuggiamo le lacrime - poichè ne basterebbe una sola per estrometterci dal tempo.


DISARTICOLAZIONE DEL TEMPO

Gli istanti si susseguono gli uni agli altri: nulla conferisce loro l'illusione di un contenuto o la parvenza di un significato; si svolgono; il loro corso non è il nostro; prigionieri di una percezione inebetita, li guardiamo passare; il vuoto del cuore dinanzi al vuoto del tempo: due specchi, uno di fronte all'altro, che riflettono la loro assenza, una stessa immagine di nullità... Come sotto l'effetto di un'idiozia sognante, ogni cosa si livella: niente più cime, niente più abissi...Dove scoprire la poesia delle menzogne, il pungolo di un enigma?
Chi non conosce la noia si trova ancora nell'infanzia del mondo, quando le epoche erano di là da venire; rimane chiuso a questo tempo stanco che si sopravvive, che ride delle sue dimensioni, e soccombe sulla soglia del suo stesso...avvenire, trascinando con sé la materia, elevata improvvisamente a un lirismo di negazione. La noia è l'eco in noi del tempo che si lacera... la rivelazione del vuoto, l'esaurirsi di quel delirio che sostiene - o inventa - la vita...
Creatore di valori, l'uomo è l'essere delirante per eccellenza, vittima della convinzione che qualche cosa esista, mentre gli basta trattenere il respiro e tutto si ferma, sospendere le sue emozioni e niente freme più, sopprimere i suoi capricci e tutto diventa scialbo.
La realtà è una creazione dei nostri eccessi, delle nostre dismisure e delle nostre sregolatezze.Un freno alle nostre palpitazioni: il corso del mondo rallenta; senza i nostri ardori, lo spazio è di ghiaccio. Il tempo stesso non scorre se non perchè i nostri desideri creano questo universo decorativo che un minimo di lucidità metterebbe a nudo. Un briciolo di chiaroveggenza ci riconduce alla nostra condizione primordiale: la nudità; un pizzico; di ironia ci spoglia di quel paludamento di speranze che ci permette di ingannarci e di immaginare l'illusione: ogni via opposta conduce fuori dalla vita. La noia non è che l'inizio di questo itinerario...Essa ci fa sentire il tempo troppo lungo, inadatto a svelarci una fine. Distaccati da ogni oggetto, senza poter assimilare nulla dall'esterno, ci distruggiamo al rallentatore, poichè il futuro ha cessato di offrirci una ragion d'essere.
La noia ci rivela un'eternità che non è il superamento del tempo bensì la sua rovina; è l'infinito delle anime marcite per mancanza di superstizioni: un assoluto piatto in cui nulla impedisce più alle cose di girare in tondo alla ricerca della propria caduta.
La vita si crea nel delirio e si disfa nella noia.
(Chi soffre di uno specifico male non ha il diritto di lamentarsene: ha un'occupazione. I grandi sofferenti non si annoiano mai: la malattia li riempie, così come il rimorso nutre i grandi colpevoli. Ogni sofferenza intensa suscita un simulacro di pienezza e propone alla coscienza una realtà terribile, che essa non riesce a eludere; mentre la sofferenza senza materia, in quel lutto temporale che è la noia, non oppone alla coscienza niente che la obblighi a un passo fruttuoso. Come guarire da un male non localizzato e sommamente impreciso, che colpisce il corpo senza lasciarvi traccia, che si insinua nell'anima senza imprimervi un segno? Assomiglia a una malattia cui si sia sopravvissuti ma che abbia assorbito le nostre possibilità, le nostre riserve di attenzione e ci abbia lasciati incapaci di colmare il vuoto conseguente alla scomparsa delle nostre angosce e allo svanire dei nostri tormenti. L'inferno è un rifugio in confronto a questo spaesamento nel tempo, a questo languore vuoto e prostrato in cui nulla ci trattiene se non lo spettacolo dell'universo che si deteriora sotto i nostri occhi. Quale terapia usare contro una malattia di cui non ci ricordiamo più, e i cui postumi si ripercuotono sui nostri giorni? Come inventare una medicina per l'esistenza, come concludere questa guarigione senza fine? E come rimettersi dalla propria nascita? La noia, questa convalescenza incurabile...)

Emil 8


VARIAZIONI SULLA MORTE

I - Perseveriamo nella vita proprio perchè essa non si regge su nulla, perchè non ha neanche l'ombra di un argomento. La morte è troppo esatta; ha tutte le ragioni dalla sua. Misteriosa per i nostri istinti, dinnazi alla nostra riflessione si profila limpida, priva di seduzioni e senza le false attrattive dell'ignoto.
A forza di cumulare misteri inconsistenti e di monopolizzare il nonsenso, la vita ispira più paura della morte: è lei il grande Ignoto.
Dove possono condurre un simile vuoto e una tale incomprensibilità? Ci aggrappiamo ai giorni perchè il desiderio di morire è troppo logico, quindi inefficace. Poichè se la vita avesse un solo argomento a suo sostegno - chiaro, di evidenza indiscutibile- ne sarebbe annientata: gli istinti e i pregiudizi svaniscono a contatto con il Rigore. Tutto ciò che respira si nutre di inverificabile; un supplemento di logica sarebbe funesto all'esistenza, sforzo verso l'Insensato... Date uno scopo preciso alla vita e perderà all'istante il suo fascino.L'incertezza dei suoi fini la abbasserebbe alla trivialità delle tombe. Una scienza positiva del senso della vita spopolerebbe la terra in un solo giorno; e nessun forsennato riuscirebbe a rianimare in essa la feconda improbabilità del Desiderio.

II - Si possono classificare gli uomini secondo i criteri più fantasiosi: in base agli umori, alle inclinazioni, ai sogni o alle ghiandole. Si cambia idea come si cambia cravatta; giacchè ogni idea, ogni criterio viene dall'esterno, dalle configurazioni e dagli accidenti del tempo. Ma c'è qualcosa che viene da noi stessi, che è noi stessi, una realtà invisibile ma interiormente verificabile, una presenza insolita e perenne, che si può concepire a ogni istante senza che mai si osi ammetterla, e che non ha attualità se non prima del suo compimento: è la morte il vero criterio... Ed è lei, la dimensione più intima di tutti i vivi, a separare l'umanità in due ordini così irriducibili, così lontani l'un dall'altro che vi è più distanza fra loro che non fra un avvoltoio e una talpa, fra una stella e uno sputo. Tra l'uomo che ha il sentimento della morte e quello che non lo ha si spalanca l'abisso fra due mondi non comunicanti;eppure entrambi muoiono; ma l'uno ignora la sua morte, l'altro la conosce; l'uno muore in un solo istante, l'altro non cessa di morire... La loro condizione comune li colloca esattamente agli antipodi l'uno dell'altro; ai due estremi e all'interno di una stessa definizione; inconciliabili, essi subiscono il medesimo destino... L'uno vive come se fosse eterno; l'altro pensa continuamente la propria eternità e la nega in ogni pensiero. Niente può mutare la nostra vita se non il progressivo insinuarsi in noi delle forze che l'annientano. Nessun nuovo principio le viene dalle sorprese della nostra crescita, né dalla fioritura dei nostri doni: esse le sono semplicemente naturali. E niente che sia naturale può renderci diversi da quello che siamo.
Tutto ciò che prefigura la morte aggiunge un carattere di novità alla vita, la modifica e la amplifica. La salute la conserva tale e quale, in una sterile identità; mentre la malattia è un'attività, la più intensa che un uomo possa svolgere, un movimento frenetico e...stazionario, il più ricco dispendio di energia senza gesto, l'attesa ostile e appassionata di una folgorazione irreparabile.

III - Contro l'ossessione della morte, i sotterfugi della speranza si rivelano inefficaci quanto gli argomenti della ragione: la loro insignificanza non fa che esacerbare la brama di morte. Per trionfare su tale brama vi è un solo "metodo": viverla sino in fondo, subirne tutte le delizie, tutte le ambasce, non fare nulla per eluderla. Un'ossessione vissuta fino alla sazietà si annulla nei suoi stessi eccessi. A furia di insistere sull'infinito della morte, il pensiero finisce con il consumarlo, con l'ispirarcene il disgusto, esuberanza negativa che non risparmia nulla e che, prima di compromettere e screditare le seduzioni della morte, ci svela l'inanità della vita.
Colui che non si è abbandonato alle voluttà dell'angoscia e non ha assaporato nella mente i pericoli della propria estinzione né provato annientamenti dolci e crudeli non guarirà mai dall'ossessione della morte: ne sarà tormentato, poichè vi avrà fatto resistenza; - mentre colui che, avvezzo a una disciplina dell'orrore, meditando sulla propria putrefazione, si è deliberatamente ridotto in cenere, guarderà verso il passato della morte - e lui stesso sarà solo un risuscitato che non può più vivere. Il suo "metodo" lo avrà guarito sia dalla vita sia dalla morte. Ogni esperienza capitale è nefasta: gli strati dell'esistenza mancano di spessore; chi li scava, archeologo del cuore e dell'essere, alla fine delle sue ricerche si trova dinnanzi a profondità vuote. Rimpiangerà invano il manto delle apparenze.
è il motivo per cui i Misteri antichi, pretese rivelazioni dei segreti ultimi, non ci hanno tramandato nulla in fatto di conoscenza. Certo, gli iniziati erano tenuti a non trasmetterne nulla; ma è inconcepibile che fra di loro non ci sia stato nemmeno un chiacchierone; vi è niente di più contrario alla natura umana di una tale ostinazione nel segreto? Il fatto è che di segreti non ce n'erano; c'erano dei riti, e dei brividi. Il sollevarsi dei veli che cosa poteva mai scoprire se non abissi irrilevanti? Non vi è altra iniziazione che al nulla - e al ridicolo di essere vivi.
...E io penso a un'Eleusi dei cuori disingannati, a un Mistero limpido, senza dèi e senza le veemenze dell'illusione.

Emil 7



SCOMPARIRE IN DIO

Lo spirito che coltiva la propria essenza distinta è minacciato a ogni piè sospinto dalle cose alle quali si sottrae. Poichè l'attenzione - il maggiore dei suoi privilegi - lo abbandona spesso, cede alle tentazioni che voleva fuggire oppure diviene preda di misteri impuri... Chi non conosce quelle paure, quei fremiti, quelle vertigini che ci accomunano alle bestie, e ci avvicinano alle questioni ultime? Le nostre ginocchia tremano senza piegarsi; le nostre mani si cercano senza giungersi; i nostri occhi si levano verso il cielo e non scorgono nulla... Noi manteniamo questa fierezza verticale che rafforza il nostro coraggio; questo orrore dei gesti che ci preserva dalle dimostrazioni; e ricorriamo alle palpebre per coprire sguardi ridicolmente ineffabili...Stiamo per scivolare ma possiamo evitarlo; il fenomeno è curioso, ma per nulla nuovo: già spunta un sorriso all'orizzonte dei nostri terrori...non cascheremo nella preghiera...Perchè insomma Egli non deve trionfare; sta alla nostra ironia comprendere la sua maiuscola, al nostro cuore dissolvere i brividi che egli dispensa. Se davvero un essere simile esistesse, se le nostre debolezze avessero la meglio sulle nostre risoluzioni e le nostre profondità sulle nostre analisi, perchè allora continuare a pensare, dal momento che le difficoltà sarebbero risolte, gli interrogativi sospesi e gli spaventi placati? Sarebbe troppo facile. Ogni assoluto - personale o astratto - è un modo di eludere i problemi; e non soltanto i problemi, ma anche la loro radice, la quale non è altro che panico dei sensi.
Dio: caduta perpendicolare sul nostro terrore, salvezza che piomba come un fulmine in mezzo alle nostre ricerche che nessuna speranza inganna, annullamento brutale della nostra fierezza sconsolata, e volontariamente inconsolabile, avviamento dell'individuo su un binario morto, disoccupazione dell'anima per mancanza d'inquietudine...Quale maggior rinuncia della fede? è vero che, in sua assenza, ci si inoltra in un'infinità di vicoli ciechi. Ma, pur sapendo che niente può condurre a niente, che l'universo è solo un sottoprodotto della nostra tristezza, perchè dovremmo sacrificare questo piacere di inciampare e di spaccarci la testa contro la terra e il cielo?
Le soluzioni che la nostra viltà ancestrale ci propone sono le peggiori diserzioni al nostro dovere di decenza intellettuale. Sbagliare, vivere e morire ingannati è per l'appunto ciò che fanno gli uomini. Ma esiste una dignità che ci preserva dallo scomparire in Dio e che trasforma tutti i nostri istanti in preghiere che non faremo mai.

     

Emil 6



CIVILTà E FRIVOLEZZA

Come potremmo sopportare la massa e la logora profondità delle opere e dei capolavori se alla loro trama gli spiriti impertinenti e deliziosi non avessero aggiunto le frange dello sprezzo sottile e delle ironie spontanee? E come potremmo tollerare i codici, gli usi, i paragrafi del cuore che l'inerzia e le  convenienze hanno sovrapposto ai vizi intelligenti e futili se non ci fossero questi spiriti arguti che la loro raffinatezza colloca ai vertici e nello stesso tempo ai margini della società! Dobbiamo essere riconoscenti alle civiltà che non hanno abusato della serietà, che hanno giocato con i valori e si sono dilettate a crearli e distruggerli. Al di fuori della civiltà greca e francese, conosciamo forse dimostrazione più lucidamente giocosa del nulla elegante delle cose? Il secolo di Alcibiade e il Settecento francese sono due fonti di consolazione. Mentre le altre civiltà poterono provare l'esercizio brioso che conferisce un sapore di inutilità alla vita soltanto al loro ultimo stadio, al dissolversi, di tutto un sistema di credenze e di costumi, fu invece nella piena maturità, nel pieno possesso delle loro forze e dell'avvenire che quei due secoli conobbero la noia incurante di tutto e permeabile a tutto. Vi è forse simbolo migliore di quello di Madame du Deffand, vecchia, cieca e chiaroveggente che, pur esecrando la vita, assapora nondimeno i piaceri dell'amarezza?
Nessuno raggiunge la frivolezza di colpo. è un privilegio e un arte; è la ricerca del superficiale in coloro che, accortisi dell'impossibilità di qualsiasi certezza, ne hanno concepito il disgusto; è la fuga lontano dagli abissi che, essendo naturalmente senza fondo, non possono condurre da nessuna parte. Rimangono tuttavia le apparenze: perchè non innalzarle al livello di uno stile? è questo che definisce ogni epoca intelligente. Di conseguenza si attribuisce maggior prestigio all'espressione che all'anima da cui è sostenuta, alla grazia che all'intuizione; l'emozione stessa diventa educata. L'essere, lasciato a se stesso, senza alcun pregiudizio di eleganza, è un mostro; non trova in sé altro che zone oscure in cui si aggirano, incombenti, il terrore e la negazione. Sapere, con tutta la propria vitalità, che si muore, e non poterlo nascondere, è un atto di barbarie. Ogni filosofia sincera rinnega i titoli della civiltà, la cui funzione consiste nel filtrare i nostri segreti e travestirli da effetti ricercati. La frivolezza è quindi l'antidoto più efficace al male di essere ciò che si è: grazie a essa noi inganniamo la gente e dissimuliamo la sconvenienza delle nostre profondità. Senza i suoi artifici, come non vergognarsi di avere un'anima? Le nostre solitudini a fior di pelle: quale inferno per gli altri! Ma è sempre per gli altri, e talvolta per noi stessi, che inventiamo le nostre apparenze...

         

Emil 5


NEL CIMITERO DELLE DEFINIZIONI

Siamo autorizzati a immaginare uno spirito che esclami : "Ora tutto è senza oggetto per me, giacchè ho dato la definizione di ogni cosa"? E se potessimo immaginarlo, come situarlo nella durata? Noi sopportiamo quello che ci circonda solo in quanto gli diamo un nome - e passiamo oltre. Ma racchiudere una cosa in una definizione, sia pure arbitraria (e tanto più grave quanto più arbitraria, poichè in tal caso l'anima precorre la conoscenza) significa respingerla, renderla scialba e superflua, annientarla. Lo spirito ozioso e vano - e che si integra nel mondo soltanto grazie al sonno - a che altro può esercitarsi se non a dilatare il nome delle cose, a svuotarle e a sostituirle con delle formule? Dopodichè si muove sulle loro macerie: niente più sensazioni, soltanto ricordi. Sotto ogni formula giace un cadavere: l'essere l'oggetto muoiono sotto il pretesto a cui hanno dato luogo. è la dissolutezza frivola e funebre dello spirito. E lo spirito si è sperperato in ciò che ha nominato e circoscritto. Innamorato dei vocaboli, odiava il mistero dei silenzi grevi, e li rendeva lievi e puri: ed è divenuto lieve e puro perchè alleggerito e purificato di tutto. Il vizio di definire ha fatto di lui un assassino gentile, e una vittima discreta. Si è cancellata così la macchia che l'anima stendeva sullo spirito, ed era l'unica cosa a ricordargli di essere vivo.

Emil 4



L'ANTIPROFETA

In ogni uomo sonnecchia un profeta, e quando si risveglia c'è un po' più di male nel mondo...

La mania di predicare è così radicata in noi che emerge da profondità ignote all'istinto di conservazione. Ognuno attende il suo momento per proporre qualcosa: qualsiasi cosa. Ha una voce e tanto basta. Paghiamo caro il fatto di non essere né sordi né muti...

Dagli spazzini agli snob, tutti prodigano la loro generosità criminale, tutti dispensano ricette di felicità, tutti vogliono dirigere i passi di tutti: la vita in comune diviene perciò intollerabile, e la vita con se stessi più intollerabile ancora: quando non si interviene negli affari altrui, si è così preoccupati dei propri che si converte in religione il proprio io, oppure, apostoli alla rovescia, lo si nega: siamo vittime del gioco universale...

L'abbondanza delle soluzioni agli aspetti dell'esistenza è pari solo alla loro futilità. La Storia: fabbrica di ideali, mitologia lunatica, frenesia delle orde e dei solitari, rifiuto di considerare la realtà quale è, sete mortale di finzioni...

L'origine dei nostri atti sta nella propensione inconscia a ritenerci il centro, la ragione e l'esito del tempo. I nostri riflessi e il nostro orgoglio trasformano in pianeta la briciola di carne e di coscienza che noi siamo. Se avessimo il giusto senso della nostra posizione nel mondo, se confrontare fosse inseparabile dal vivere, la rivelazione della nostra infima presenza ci schiaccerebbe. Ma vivere significa ingannarsi sulle proprie dimensioni...

Giacchè se tutti i nostri atti - dal respiro sino alla fondazione degli imperi o dei sistemi metafisici - derivano dalle illusioni che ci facciamo sulla nostra importanza, a maggior ragione l'istinto profetico. Chi mai, avendo l'esatta visione della propria nullità, tenterebbe di agire sulla realtà e di erigersi a salvatore?

Nostalgia di un mondo senza "ideale", di un'agonia senza dottrina, di un'eternità senza vita... Il Paradiso... Ma noi non potremmo esistere neanche per un attimo senza illuderci: il profeta insito in ciascuno di noi è appunto il grano di follia che ci fa prosperare nel nostro vuoto.

L'uomo idealmente lucido, e quindi idealmente normale, non dovrebbe avere altra risorsa all'infuori del nulla che è in lui...Mi pare di sentirlo: "Sottratto allo scopo, a qualsiasi scopo, dei miei desideri e delle mie amarezze conservo soltanto le formule.Avendo resistito alla tentazione di concludere, ho vinto lo spirito, così come ho vinto la vita mediante l'orrore di cercarvi una soluzione. Lo spettacolo dell'uomo - quale emetico! L'amore - un incontro di due salive... Tutti i sentimenti attingono il loro assoluto dalla miseria delle ghiandole. Non vi è nobiltà se non nella negazione dell'esistenza, in un sorriso che sovrasta paesaggi annientati".

(Un tempo avevo un "io"; ormai sono soltanto un oggetto...Mi imbottisco di tutte le droghe della solitudine; quelle del mondo erano troppo leggere per farmelo dimenticare. Dopo aver ucciso in me il profeta, come potrei avere ancora un posto tra gli uomini?)


Emil 3


Mi basta sentire qualcuno parlare sinceramente di ideale, di avvenire, di filosofia, sentirlo dire "noi" con tono risoluto, invocare gli "altri" e ritenersene l'interprete - perchè io lo consideri mio nemico. Scorgo in lui un tiranno mancato, un carnefice approssimativo, detestabile quanto i tiranni e i carnefici di gran classe. Il fatto è che ogni fede esercita una forma di terrore, tanto più spaventosa quando ne sono i fautori i "puri". Si diffida dei furbi, delle canaglie, dei cialtroni; tuttavia non si può imputar loro nessuna delle grandi colvusioni della storia; non credendo in nulla, essi non frugano nei vostri cuori, e neanche nei vostri pensieri riposti; vi abbandonano alla vostra indifferenza, alla vostra disperazione o alla vostra inutilità; l'umanità deve loro i pochi momenti di prosperità che ha conosciuto: sono loro a salvare i popoli che i fanatici torturano e gli "idealisti" rovinano. Privi di dottrina, essi hanno soltanto capricci e interessi, vizi accomodanti, mille volte più sopportabili delle devastazioni provocate dal dispotismo che sbandiera princìpi: giacchè tutti i mali della vita derivano da una "concezione della vita". Un uomo politico perfetto dovrebbe studiare a fondo i sofisti antichi e prendere lezioni di canto - e di corruzione...

Il fanatico, invece, è incorruttibile: se per un'idea è capace di uccidere, allo stesso modo può farsi uccidere per essa; in entrambi i casi, sia egli tiranno o martire, è un mostro. Non esistono esseri più pericolosi di quelli che hanno sofferto per una convinzione: i grandi persecutori che reclutano tra i martiri ai quali non è stata tagliata la testa. Lungi dal diminuire la brama di potenza, la sofferenza la esaspera; perciò lo spirito si sente più a suo agio in compagnia di un fanfarone che in quella di un martire; e niente gli ripugna quanto lo spettacolo in cui qualcuno muoia per un'idea... disgustato dal sublime e dalla carneficina, esso sogna una noia di provincia su scala universale, una Storia il cui ristagno sia tale che il dubbio vi si profili come un evento e la speranza come una calamità...


Emil 2



Quando ci si rifiuta di ammettere l'intercambiabilità delle idee, scorre il sangue... Sotto le risoluzioni ferme si leva un pugnale. Gli occhi ardenti preannunciano l'assassinio. Lo spirito esitante, preso da amletismo, non è mai stato dannoso: il principio del male sta nella tensione della volontà, nell'inattitudine al quietismo, nella megalomania prometeica di una razza che scoppia di ideale, che esplode sotto le proprie convinzioni e che, per essersi compiaciuto  di irridere il dubbio e la pigrizia - vizi più nobili di tutte le sue virtù -, ha imboccato una via di perdizione : la via della storia, miscuglio indecente di banalità e di apocalisse... Le certezze vi abbondano: sopprimetele, sopprimete soprattutto le loro conseguenze, e ricostruirete il paradiso. Che cos'è la Caduta se non la ricerca di una verità e la sicurezza di averla trovata, se non la passione per un dogma, l'insediamento in un dogma? Da ciò deriva il fanatismo, fare capitale che dà all'uomo il gusto dell'efficacia, della profezia, del terrore - lebbra lirica con la quale egli contamina gli animi, li sottomette, li stritola o li esalta...Vi si sottraggono solo gli scettici (o i fannulloni e gli esteti) perchè non propongono nulla, perchè - veri benefattori dell'umanità - ne distruggono i partiti presi e ne analizzano il delirio. Io mi sento più al sicuro accanto a un Pirrone che a un San Paolo, per il motivo che una saggezza arguta è più mite di una santità scatenata.In uno spirito ardente si ritrova mascherato il predatore...
Non ci si difenderà mai abbastanza dalle grinfie di un profeta...Allontanatevi da lui se alza la voce, fosse pure in nome del cielo, della città o di altri pretesti: satiro della vostra solitudine, egli non vi perdona di vivere al di qua delle sue verità e dei suoi slanci;la sua isteria, il suo bene, vuole farveli condividere, imporveli e snaturarvi. Un essere che sia posseduto da una convinzione e non cerchi di comunicarla agli altri è un fenomeno estraneo alla terra, dove l'ossessione della salvezza rende la vita irrespirabile. Guardatevi attorno: dappertutto larve che predicano; ogni istituzione riflette una missione; i municipi hanno il loro assoluto non meno dei templi; l'amministrazione, con i suoi regolamenti - metafisica a uso delle scimmie... Tutti si sforzano di correggere la vita di tutti: vi aspirano i mendicanti, e perfino gli incurabili: i marciapiedi del mondo e gli ospedali traboccano di riformatori. La voglia di diventare fonte di avvenenimenti agisce su ognuno come un disordine mentale o come una maledizione voluta. La società - un inferno di salvatori! Quello che vi cercava Diogene con la sua lanterna era un indifferente...          

Emil 1



GENEALOGIA DEL FANATISMO


In se stessa ogni idea è neutra, o dovrebbe esserlo; ma l'uomo la anima, vi proietta i propri ardori e le proprie follie; impura, trasformata in convinzione, essa si inserisce nel tempo, assume forma di evento: il passaggio dalla logica all'epilessia è compiuto... Nascono così le ideologie, le dottrine e le farse cruente.Idolatri per istinto, noi convertiamo in Incondizionato gli oggetti dei nostri sogni e dei nostri interessi. La storia non è che una sfilata di falsi Assoluti, una successione d templi innalzati a dei pretesti, un avvilimento dello spirito dinanzi all'Improbabile. Anche quando si allontana dalla religione, l'uomo vi rimane assoggettato; si affanna a creare simulacri di dèi, e si precipita poi ad adottarli: il suo bisogno di finzione, di mitologia, trionfa sull'evidenza e sul ridicolo. La sua capacità di adorazione è responsabile di tutti i suoi crimini: chi ama indebitamente un dio costringe gli altri ad amarlo, pronto a sterminarli se si rifiutano. Non c'è forma di intolleranza, di intransigenza ideologia o di proselitismo che non riveli il fondo bestiale dell'entusiasmo. Perda l'uomo la propria facoltà di indifferenza; diverrà virtualmente assassino; trasformi la sua idea in dio: le conseguenze saranno incalcolabili. Non si uccide se non in nome di un dio o delle sue contraffazioni: gli eccessi suscitati dalla dea Ragione, dall'idea di nazione, di classe o di razza sono affini a quelli dell'Inquisizione o della Riforma. Le epoche di fervore eccellono in imprese sanguinarie: santa Teresa non poteva che essere contemporanea degli autodafé, e Lutero dei massacri di contadini.Nelle crisi mistiche, i gemiti delle vittime si accompagnano ai gemiti dell'estasi...Forche, galere, penitenziari prosperano solo all'ombra di una fede - di quel bisogno di credere che ha infestato per sempre lo spirito.
Il Diavolo appare assai scialbo rispetto a colui che dispone di una verità, della sua verità. Noi siamo ingiusti nei confronti dei Neroni e dei Tiberi: essi non inventarono il concetto di eretico: furono soltanto sognatori degenerati che si divertivano con i massacri. I veri criminali sono coloro che instaurano un'ortodossia sul piano religioso o politico, che distinguono tra il fedele e lo scismatico.