Emil 150


QUOUSQUE EADEM?

Che sia maledetta per sempre la stella sotto la quale sono nato, che nessun cielo voglia proteggerla, che essa si sbricioli nello spazio come una polvere senza onore! E l'istante proditorio che mi precipitò fra le creature sia per sempre depennato dalle liste del Tempo! I miei desideri non possono più accordarsi con questa mescolanza di vita e di morte in cui si avvilisce quotidianamente l'eternità. Stanco del futuro, ne ho attraversato i giorni, e tuttavia sono tormentato dall'intemperanza di non so quale sete. Come un saggio infuriato, morto al mondo e scatenato contro di esso, sopprimo le mie illusioni soltanto per fomentarle meglio. Questa esasperazione in un universo imprevedibile - nel quale peraltro tutto si ripete - non avrà dunque mai un termine? Fino a quando dovremo ridire a noi stessi: "Esecro questa vita che idolatro?".
La nullità dei nostri deliri fa di noi tutti altrettanti dèi sottomessi a un'insipida fatalità. Perchè insorgere ancora contro la simmetria di questo mondo quando il Caos stesso non è altro che un sistema di disordini? Dato che il nostro destino è quello di marcire con i continenti e con le stelle, trascineremo, come malati rassegnati, e sino alla fine del tempo, la curiosità verso un epilogo previsto, spaventevole e vano.
     

Emil 149


PROCESSIONE DEI SOTTO-UOMINI

Uscito dalla propria strada e dai propri istinti, l'uomo è finito in un vicolo cieco. Ha bruciato le tappe... per raggiungere la propria fine; animale senza avvenire, si è impantanato nel suo ideale, si è perduto nel suo stesso gioco. Per aver voluto superarsi continuamente, si è paralizzato; e non gli resta altra risorsa che quella di ricapitolare le proprie follie, di espiarle e di commetterne altre...
Ad alcuni, tuttavia, questa stessa risorsa resta preclusa: "Disabituati a essere uomini," essi pensano "apparteniamo ancora a una tribù, a una razza, a una genia qualsivoglia? Finché avevamo ancora il pregiudizio della vita, sposavamo un errore che ci metteva sullo stesso piano con gli altri... Ma noi siamo usciti dalla specie... La chiaroveggenza, spezzando la nostra ossatura, ci ha ridotti a un'esistenza flaccida - marmaglia invertebrata che si stende sulla materia per insozzarla di bava. Eccoci fra i molluschi, eccoci giunti a quel termine ridicolo in cui paghiamo lo scotto di aver fatto cattivo uso delle nostre facoltà e dei nostri sogni... La vita non fu il nostro retaggio: anche nei momenti in cui ne eravamo ebbri, tutte le nostre gioie derivavano dagli slanci che ci trasportavano al di sopra di essa; vendicandosi, essa ci trascina verso i suoi bassifondi: processione dei sotto-uomini verso una sotto-vita..."

Emil 148


FISIONOMIA DI UN FALLIMENTO

Sogni mostuosi popolano le drogherie e le chiese: non vi ho sorpreso nessuno che non vivesse nel delirio. Poiché il più piccolo desiderio nasconde una fonte d'insania, è sufficiente conformarsi all'istinto di conservazione per meritare il manicomio. La vita: accesso di demenza che scuote la materia...
Io respiro: ce n'è abbastanza perchè mi si rinchiuda. Incapace di raggiungere la lucidità della morte, striscio nell'ombra dei giorni e se ancora sono è soltanto per la volontà di non essere più.
Un tempo immaginavo di poter frantumare lo spazio con un pugno, giocare con le stelle, fermare la durata o regolarla a mio capriccio. I grandi capitani mi sembravano grandi timidi; i poeti, poveri balbuzienti; non conoscendo la resistenza che ci oppongono le cose, gli uomini e le parole, e credendo di sentire più di quanto l'universo non lo permettesse, mi abbandonavo a un'infinità sospetta, a una cosmogonia sorta da una pubertà inetta a concludersi... Com'è facile credersi un dio con il cuore, e com'è difficile esserlo con la mente! E con quante illusioni devo essere nato per poterne perdere una ogni giorno! La vita è un miracolo che l'amarezza distrugge.
L'intervallo che mi separa dal mio cadavere è per me una ferita; tuttavia aspiro invano alle seduzioni della tomba: poiché non posso privarmi di nulla, né smettere di palpitare, tutto in me mi assicura che i vermi languirebbero sui miei istinti. Incompetente nella vita come nella morte, mi odio, e in questo odio sogno un'altra vita, un'altra morte. E, per aver voluto essere un saggio come non ve ne furono mai, sono solamente un folle tra i folli...

Emil 147


NOI TROGLODITI...

I valori non si accumulano: una generazione apporta qualcosa di nuovo solo calpestando quello che di unico vi era nella generazione precedente. Questo vale ancora di più per la successione delle epoche: il Rinascimento non ha potuto "salvare" la profondità, le chimere, il genere di barbarie propri del Medioevo; il secolo dei Lumi, a sua volta, non ha serbato del Rinascimento altro che il senso dell'universale, ma senza il pathos che ne segnava la fisionomia. L'illusione moderna ha sprofondato l'uomo nelle intermittenze del divenire: egli vi ha perduto il suo fondamento nell'eternità, la sua "sostanza". Ogni conquista - spirituale o politica - implica una perdita; ogni conquista è un'affermazione... micidiale. Nell'ambito dell'arte, il solo nel quale si possa parlare di vita dello spirito, un "ideale" non si instaura se non sulla rovina di quello che lo ha preceduto: ogni vero artista tradisce i suoi predecessori... Non c'è superiorità nella storia: repubblica-monarchia; romanticismo-classicismo; liberalismo-dirigismo;naturalismo-arte astratta; irrazionalismo-intellettualismo: le istituzioni, come le correnti del pensiero e del sentimento, si equivalgono. Una certa forma dello spirito non potrebbe assumerne un'altra; si è qualche cosa soltanto per esclusione: nessuno può conciliare l'ordine e il disordine, l'astrazione e l'immediatezza, lo slancio e la fatalità. Le epoche di sintesi non sono affatto creatrici: esse riassumono il fervore delle altre, ed è un riassunto confuso, caotico, dato che ogni eclettismo è un indizio della fine.
Ad ogni passo in avanti ne segue uno indietro: ecco l'infruttuosa frenesia della storia - questo divenire... stazionario... il fatto
che l'uomo si sia lasciato lusingare dal miraggio del Progresso rende ridicole le sue pretese di sottigliezza. Il Progresso? Lo si trova forse nell'igiene... Ma altrove? Nelle scoperte scientifiche? non sono che un cumulo di glorie nefaste...
Chi, in buona fede, potrebbe scegliere fra l'età della pietra e quella degli strumenti moderni? Vicini alla scimmia nell'una quanto nell'altra, diamo la scalata alle nuvole per gli stessi motivi per i quali ci arrampicavamo sugli alberi: soltanto i mezzi della nostra curiosità - pura o criminale - sono cambiati e, con riflessi travestiti, siamo più variamente rapaci. è un semplice capriccio accettare o rifiutare un periodo: dobbiamo accettare o rifiutare la storia in blocco. L'idea del progresso ci rende tutti dei fatui sulle vette del tempo, ma queste vette non esistono: il troglodita che tremava di spavento nelle caverne continua a tremare nei grattacieli. Il nostro capitale di infelicità si conserva intatto attraverso le epoche; abbiamo tuttavia un vantaggio rispetto ai nostri antenati: quello di aver investito meglio questo capitale, perchè abbiamo organizzato meglio il nostro disastro.


Emil 146


RESTAURAZIONE DI UN CULTO

Avendo consumato la mia qualità di uomo, niente mi è più di alcun profitto. Ovunque non scorgo altro che bestie da ideale che si imbrancano per belare le loro speranze... Quegli stessi che non vissero altrimenti, a che scopo si sarebbe concepita la "comunione" dei santi? ... Alla ricerca di un vero solitario, passo in rassegna le epoche e non trovo altro che il Diavolo... La ragione lo bandisce, il cuore lo implora... Spirito di menzogna, Principe delle tenebre, il Maledetto, il Nemico - come mi è dolce ricordare i nomi che infamarono la sua solitudine! E come lo ho caro da quando viene quotidianamente messo da parte! Potessi reintegrarlo nella sua condizione primitiva! Credo in lui con tutta la mia incapacità di credere. La sua compagnia mi è necessaria: l'essere solo va verso il più solo, verso il Solo... Mi faccio un obbligo di tendere verso di lui: il mio potere di ammirazione - per paura di restare inutilizzato - mi ci costringe. Eccomi dinanzi al mio modello: con la mia adesione punisco la mia solitudine colpevole di non essere totale e me ne fabbrico un'altra che la superi: è il mio modo di essere umile...
Si sostituisce Dio come si può: giacché ogni dio è buono, purchè perpetui nell'eternità il nostro desiderio di una solitudine capitale...   

Emil 145


CONTRO SE STESSI

Lo spirito di un uomo non ci appassiona se non per le sue contraddizioni, per la tensione dei suoi impulsi, per il contrasto che c'è fra le sue opinioni e le sue inclinazioni. Marco Aurelio, impegnato in spedizioni lontane, medita di più sull'idea della morte che su quella dell'impero; Giuliano divenuto imperatore, rimpiange la vita contemplativa, invidia i saggi, e passa le notti a scrivere contro i cristiani; Lutero, con una vitalità da vandalo, sprofonda e langue nell'ossessione del peccato, senza trovare un equilibrio tra le sue finezze e la sua grossolanità; Rousseau, che si inganna sui propri istinti, vive  soltanto nell'idea della propria sincerità; Nietzsche, la cui intera opera non è che un'ode alla forza, conduce una vita meschina, di una monotonia straziante...
Lo spirito di un uomo conta soltanto nella misura in cui si inganna su quello che vuole, su quello che ama o su quello che odia; poiché è molti, non può scegliersi. Un pessimista senza ebbrezze, un agitatore di speranze senza acredine non meritano altro che disprezzo. Degno del nostro interesse è soltanto chi non ha alcun riguardo per il proprio passato, per le convenienze, per la logica o per la considerazione: come possiamo amare un conquistatore, se non si immerge negli avvenimenti con un timore di fallimento, o un pensatore, se non ha vinto in sé l'istinto di conservazione? L'uomo ripiegato sulla propria inutilità non desidera più avere una vita...
Ne avesse una o non ne avesse affatto - ciò riguarderebbe gli altri... Apostolo dei propri ondeggiamenti, egli non si preoccupa più di avere un'identità ideale; il suo temperamento costituisce la sua sola dottrina, e il capriccio delle ore il suo solo sapere. 

Emil 144



LO SCORTICATO

Ciò che gli resta di vita gli sottrae ciò che gli resta di ragione. Inezie o flagelli - il passaggio di una mosca o i crampi del pianeta - lo allarmano allo stesso modo. Con i suoi nervi in fiamme, vorrebbe che la terra fosse di vetro per mandarla in frantumi; e con quale sete si lancerebbe verso le stelle per ridurle in polvere a una a una... Il crimine brilla nelle sue pupille; le sue mani si contraggono invano per strangolare: la Vita si trasmette come una lebbra - troppe creature per un solo assassino. è nella natura di chi non può uccidersi volersi vendicare di tutto ciò che si compiace di esistere. E si infastidisce di non riuscirci, come un dannato che l'impossibile distruzione irrita. Satana accantonato, egli piange, si batte il petto, si copre il capo; il sangue che avrebbe voluto spargere non gli imporpora le guance, il cui pallore riflette il suo disgusto per quella secrezione di speranze che producono le razze in cammino. Attentare ai giorni della Creazione era il suo grande sogno; vi rinuncia, sprofonda in sé e si lascia andare all'elegia del suo fallimento: da questo deriva un altro genere di eccessi. Se la sua pelle brucia, la febbre si propaga in tutto l'universo; se il suo cervello si attizza, l'aria diventa infiammabile. I suoi mali occupano le distese siderali; le sue pene fanno fremere i poli. E tutto ciò che è allusione all'esistenza, al più impercettibile soffio di vita, gli strappa un grido che compromette l'armonia delle sfere e il movimento dei mondi.

Emil 143



VERITà DI TEMPERAMENTO

Di fronte a pensatori sprovvisti di pathos, di carattere e d'intensità che si modellano sulle forme del loro tempo, ce ne sono altri nei quali si avverte che, in qualsiasi momento fossero apparsi, sarebbero stati eguali a se stessi e che, incuranti della loro epoca, avrebbero attinto i pensieri nella loro sostanza profonda, nell'eternità specifica delle loro tare. Essi non mutuano dal loro ambiente se non la superficie, alcune particolarità di stile, alcune forme caratteristiche di una data evoluzione. Innamorati della loro fatalità, evocano irruzioni, folgorazioni tragiche e solitarie, prossime all'apocalisse e alla psichiatria. Un Kierkegaard, un Nietzsche - fossero anche comparsi nell'epoca più anodina - non avrebbero avuto un'ispirazione meno fremente né meno incendiaria. Entrambi perirono nelle loro fiamme; qualche secolo prima sarebbero periti in quelle del rogo: di fronte alle verità generali, erano predestinati all'eresia. Importa poco essere inghiottiti nel proprio fuoco oppure in quello che ti viene preparato: le verità di temperamento si devono pagare in un modo o nell'altro. Le viscere, il sangue, i malesseri e i vizi cospirano a farle nascere. Impregnate di soggettività, si percepisce un io dietro ciascuna di esse: tutto diventa confessione - un grido della carne sta all'origine dell'interiezione più insignificante; perfino una teoria dall'apparenza impersonale serve soltanto a tradire l'autore, i suoi segreti, le sue sofferenze: non c'è universalità che non sia una sua maschera - tutto, perfino la logica, gli serve da pretesto autobiografico; il suo io ha infestato le idee, la sua angoscia si è trasformata in un criterio, nell'unica realtà.

Emil 142


SU UN IMPRESARIO DI IDEE

Abbraccia tutto e tutto gli riesce; non c'è niente di cui non sia contemporaneo. Tanta energia negli artifici dell'intelletto, tanta facilità nell'abbordare tutti gli ambiti dello spirito e della moda - dalla metafisica fino al cinema - abbaglia, deve abbagliare. Nessun problema gli resiste, nessun fenomeno gli è estraneo, nessuna tentazione lo lascia indifferente. è un conquistatore che ha soltanto un segreto: la sua mancanza di emozione; non gli costa niente affrontare qualsiasi cosa, poiché non ci mette nessun accento personale. Le sue costruzioni sono magnifiche, ma senza sale: poche categorie racchiudono esperienze intime, ordinate come in uno schedario di disastri o in un catalogo di inquietudini. Vi sono classificate le tribolazioni dell'uomo, così come la poesia della sua lacerazione. L'Irrimediabile è diventato sistema, anzi è diventato esibizione, esposto come un qualsiasi articolo in commercio, vera manifattura di angosce. Il pubblico se ne avvale; il nichilismo da boulevard e l'amarezza degli sfaccendati se ne pascono.
Pensatore senza destino, infinitamente vacuo e meravigliosamente vasto, egli sfrutta il proprio pensiero, vuole che sia sulle labbra di tutti. Nessuna fatalità lo perseguita: e se fosse nato all'epoca del materialismo, ne avrebbe seguito il semplicismo e gli avrebbe dato un'estensione insospettabile; se fosse vissuto in quella del romanticismo, avrebbe messo insieme una summa di fantasticherie; e se fosse comparso in piena epoca teologica, avrebbe maneggiato Dio come qualsiasi altro concetto. La sua abilità a prendere di petto i grandi problemi sconcerta: tutto in essa è notevole, salvo l'autenticità. Intrinsecamente apoetico, parla del nulla ma non ne conosce il brivido; i suoi disgusti sono riflessi; le sue esasperazioni, controllate e come inventate a posteriori; al tempo stesso, però, la sua volontà, di un'efficacia sovrannaturale, è così lucida che egli potrebbe essere poeta se lo volesse e, aggiungerei, santo, se ci tenesse... Poiché non ha né preferenze né prevenzioni, le sue opinioni sono accidenti; rincresce che ci creda: quello che interessa è soltanto il procedimento del suo pensiero. Se lo sentissi predicare dal pulpito non ne sarei sorpreso: poiché egli si colloca al di là di tutte le verità, le padroneggia e nessuna gli è necessaria o organica...
Avanzando come un esploratore, conquista regno dopo regno; i suoi passi, al pari dei suoi pensieri, sono imprese; il suo cervello non è il nemico dei suoi istinti; egli si innalza al di sopra degli altri, non avendo provato né stanchezza né quella mortificazione astiosa che paralizza i desideri. Figlio di un'epoca, ne esprime le contraddizioni, l'inutile crescita; e quando si lanciò alla sua conquista, vi mise tanta coerenza e tanta ostinazione che il suo successo e la sua fama eguagliano quelli della spada e riabilitano lo spirito con mezzi che, fino a ora, gli erano odiosi o sconosciuti.


Emil 141



FRA I PEZZENTI

Per consolarmi dei rimorsi dell'accidia, imbocco la via dei bassifondi, impaziente di avvilirmi e incanaglirmi. Conosco questi straccioni magniloquenti, puzzolenti, ghignanti; immergendomi nel loro luridume, godo del loro alito fetido non meno che del loro brio. Spietati con chi ha avuto successo, il loro genio del non far niente suscita ammirazione, benché lo spettacolo che offrono sia il più triste del mondo: poeti senza talento, puttane senza clienti, uomini d'affari senza denaro, amanti senza ghiandole, inferno di donne che nessuno vuole... Ecco infine, mi dico, il compimento negativo dell'uomo, eccolo a nudo quell'essere che pretende di avere un'ascendenza divina, miserabile falsario dell'assoluto...
Proprio a questo doveva arrivare, a quest'immagine che gli somiglia, fango a cui mai alcun dio ha posto mano, bestia che nessun angelo altera, infinito generato fra i grugniti, anima sorta da uno spasmo... Contemplo la sorda disperazione, degli spermatozoi giunti al loro termine, questu volti funebri della specie. Mi rassicuro: ho ancora molta strada da fare... Poi, ho paura: cadrò anch'io tanto in basso? E odio questa vecchia sdentata, questo rimatore senza versi, questi impotenti nell'amore e negli affari, questi modelli del disonore dello spirito e della carne...
Gli occhi dell'uomo mi abbattono; ho voluto attingere dal contatto con questi relitti una rinnovata fierezza: ne riporto un brivido simile a quello che proverebbe un vivo che, per rallegrarsi di non essere morto, facesse lo sbruffone in una bara...
 

Emil 140



FILOSOFIA DELL'ABBIGLIAMENTO

Con quale tenerezza e con quale invidia i miei pensieri si rivolgono ai monaci del deserto e ai cinici! Che abiezione nel disporre del più piccolo oggetto: questo tavolo, questo letto, questi stracci... L'abito si frappone tra noi e il nulla. Osservate il vostro corpo in uno specchio: capirete di essere mortali; passate le dita sulle vostre costole come su un mandolino, e vedrete quanto siete vicini alla tomba. è proprio perchè siamo vestiti che ci illudiamo di essere immortali: come si può morire quando si porta una cravatta? Il cadavere che si abbiglia si misconosce e, immaginando l'eternità, se ne appropria l'illusione. La carne copre lo scheletro, l'abito copre la carne: sotterfugi della natura e dell'uomo, inganni istintivi e convenzionali - un signore non potrebbe essere impastato di fango né di polvere... Dignità, onorabilità, decoro - altrettante fughe dinanzi all'irrimediabile. E quando vi mettete un cappello, chi mai direbbe che avete soggiornato dentro delle viscere o che i vermi s'ingozzeranno del vostro adipe?
... Perciò abbandonerò questi stracci, e, gettando la maschera dei miei giorni, fuggirò il tempo in cui, insieme con tutti gli altri, mi estenuo a tradirmi. In altri tempi, c'erano solitari che si spogliavano di tutto per identificarsi con se stessi: nel deserto o nella strada, godendo parimenti della loro privazione, essi raggiungevano la fortuna suprema: eguagliavano i morti...


Emil 139


OPINIONI SULLA TOLLERANZA

Segni di vita: la crudeltà, il fanatismo, l'intolleranza; segni di decadenza: l'amabilità, la comprensione, l'indulgenza... Finché un'istituzione si fonda su istinti forti, non ammette nemici né eretici: li massacra, li brucia o li rinchiude. Roghi, patiboli, prigioni, non è stata la malvagità a inventarli, ma la convinzione, qualsiasi convinzione totale. Una fede si instaura? Presto o tardi la polizia ne garantirà la "verità". Gesù - dal momento che volle trionfare fra gli uomini - avrebbe dovuto prevedere Torquemada, conseguenza ineluttabile del cristianesimo tradotto nella storia. E se l'agnello non ha previsto il carnefice della Croce, suo futuro difensore, allora merita il suo epiteto. Con l'Inquisizione la Chiesa diede prova di avere ancora una grande vitalità; analogamente i re con il loro potere assoluto. Tutte le autorità hanno la loro Bastiglia: più un'istituzione è potente e meno è umana. L'energia di un'epoca si misura dal numero degli uomini che soffrono, e una credenza religiosa o politica si afferma solo grazie alle vittime che provoca, dato che la bestialità è il carattere primordiale di ogni riuscita nel tempo. Là dove un'idea si impone ci sono teste che cadono; essa non può imporsi se non a spese delle altre idee e delle teste che le concepirono o le difesero.
La Storia conferma lo scetticismo; eppure essa non è e non vive se non calpestandolo; nessun avvenimento sorge dal dubbio, ma tutte le considerazioni sugli avvenimenti conducono al dubbio e lo giustificano. Ciò significa che la tolleranza - bene supremo della terra - ne è allo stesso tempo il supremo male. Ammettere tutti i punti di vista, le convinzioni più disparate, le opinioni più contraddittorie presuppone una condizione generale di stanchezza o di sterilità. Si arriva a questo miracolo: gli avversari coesistono - ma appunto perchè non possono più esserlo; le opposte dottrine si riconoscono reciprocamente dei meriti perchè nessuna ha abbastanza energia per affermarsi. Una religione muore quando tollera verità che la escludono; ed è proprio morto il dio nel nome del quale non si uccide più. Se un assoluto si dilegua, un vago lucore di paradiso terrestre balugina... lucore fugace, giacché l'intolleranza costituisce la legge delle cose umane. Le collettività si consolidano soltanto sotto le tirannidi, e si disgregano in un regime clemente; allora, in un soprassalto di energia, si mettono a soffocare le loro libertà e ad adorare i loro carcerieri plebei o coronati. Le epoche di terrore prevalgono su quelle di calma; l'uomo è contrariato molto di più dall'assenza che dall'abbondanza di avvenimenti; così la Storia è il prodotto sanguinoso del suo rifiuto della noia.  
   

Emil 138



PROFILO DEL MALVAGIO

A che cosa deve il non aver fatto più male di quanto basti né commesso delitti o vendette più sottili? Il non aver obbedito alle intimazioni del sangue che gli sale alla testa? Ai suoi umori? Alla sua educazione? Certamente no, e ancora meno a una bontà innata; ma soltanto alla presenza dell'idea della morte. Incline a non perdonare niente e nessuno, egli perdona a tutti; il più piccolo torto eccita i suoi istinti; ma lui lo dimentica un attimo dopo. Gli basta rappresentarsi il proprio cadavere e applicare questo stesso metodo agli altri per placarsi di colpo: l'immagine di ciò che si decompone lo rende buono - e vile: non c'è saggezza (né carità) senza ossessioni macabre. L'uomo sano, tutto fiero di esistere, si vendica, ascolta il proprio sangue e i propri nervi, adotta i pregiudizi, replica, schiaffeggia e uccide. Ma colui che è minato dallo sgomento della morte non reagisce più alle sollecitazioni esteriori: abbozza degli atti e li lascia incompiuti; riflette sull'onore, e lo perde; si cimenta con le passioni e le disseziona... Questo sgomento che accompagna i suoi gesti ne indebolisce il vigore; i suoi desideri muoiono sotto la visione dell'insignificanza universale. Astioso per necessità, non potendolo essere per scelta, i suoi intrighi e i suoi misfatti si fermano in corso di educazione; come tutti gli uomini, nasconde in sé un assassino, ma un assassino pervaso di rassegnazione, e troppo stanco per abbattere i suoi nemici o crearsene di nuovi. Sogna, con la fronte sul pugnale, e come deluso, prima ancora di averne fatto l'esperienza, da tutti i crimini; giudicato buono da tutti, sarebbe malvagio se non gli sembrasse vano esserlo.
   

Emil 137



INVOCAZIONE ALL'INSONNIA

Avevo diciassette anni e credevo nella filosofia. Ciò che non si richiamava a essa mi sembrava peccato o lerciume. I poeti? Saltimbanchi adatti al divertimento delle donnette. L'azione? Imbecillità in delirio. L'amore, la morte? Pretesti di infimo ordine che si rifiutano all'onore del concetto. Odore nauseabondo di un universo indegno del profumo dello spirito... Il concreto, che macchia. Godere o soffrire, che vergogna! Mi sembrava che solo l'astrazione palpitasse: mi abbandonavo ad amori ancillari per paura che un oggetto più nobile mi facesse infrangere i miei principi e mi esponesse alle degradazioni del cuore. Mi ripetevo: solo il bordello è compatibile con la metafisica; e spiavo - per fuggire la poesia - gli occhi delle servette e i sospiri delle puttane.
...Quando giungesti, Insonnia, a scuotere la mia carne e il mio orgoglio, tu che trasformi il bruto giovanile, ne sfumi gli istinti, ne attizzi i sogni, tu che in una sola notte dispensi più sapere dei giorni conclusi nel riposo e, alle palpebre doloranti, ti riveli avvenimento più importante delle malattie senza nome o dei disastri del tempo - tu mi facesti udire il ronfare della salute, gli uomini sprofondati nell'oblio sonoro, mentre la mia solitudine inglobava il buio circostante e diventava più vasta della notte. Tutto dormiva, tutto dormiva per sempre. Non più alba: veglierò così sino alla fine dei tempi - allora mi si attenderà per chiedermi conto dello spazio bianco dei miei sogni... Ogni notte era uguale alle altre, ogni notte era eterna. E io mi sentivo solidale con tutti coloro che non possono dormire, con tutti questi fratelli sconosciuti. Come i viziosi e i fanatici,  avevo un segreto; come loro avrei costituito un clan, al quale tutto perdonare, tutto offrire, tutto sacrificare: il clan degli insonni. Attribuivo del genio al primo venuto le cui palpebre fossero grevi di stanchezza, e non ammiravo affatto colui che poteva dormire, fosse pure una gloria dello Stato, dell'Arte o delle Lettere. Avrei avuto un vero culto per un tiranno che - volendo vendicarsi delle sue notti - avesse proibito il riposo, punito l'oblio, prescritto l'infelicità e la febbre.
E fu allora che mi rivolsi alla filosofia: ma non c'è idea che consoli nel buio, né sistema che resista alle veglie. Le analisi dell'insonnia demoliscono le certezze. Stanco di una simile distruzione, ero giunto al punto di dire a me stesso: basta con le esitazioni, dormire o morire, riconquistare il sonno o scomparire...
Ma questa riconquista non è facile: quando ci si avvicina ad essa ci si accorge di quanto si è stati segnati dalle notti. Sei innamorato? I tuoi slanci saranno contaminati per sempre; uscirai da ogni "estasi" come da un incubo di delizie; agli sguardi della tua compagna troppo immediata opporrai una faccia da criminale; al suo piacere sincero risponderai con le irritazioni di una voluttà avvelenata; alla sua innocenza con una poesia colpevole, giacché tutto diventa per te poesia, ma una poesia della caduta...
Idee cristalline, felice concatenazione di pensieri? Non penserai più: sarà un'irruzione, una lava di concetti, senza solidità e senza coerenza, concetti vomitati, aggressivi, usciti dalle viscere, castighi che la carne infligge a se stessa, dato che lo spirito è vittima degli umori e fuori causa... Soffrirai di tutto, e smisuratamente: le brezze ti sembreranno burrasche; le carezze pugnali; i sorrisi schiaffi; le inezie cataclismi. Il fatto è che le veglie possono cessare, ma la loro luce sopravvive in te: non si vede impunemente nelle tenebre, non se ne raccoglie senza pericolo l'insegnamento; vi sono occhi che non potranno imparare più nulla da sole, e anime afflitte da notti da cui non guariranno mai...

Emil 136



LA MISERIA: UNO STIMOLANTE DELLO SPIRITO

Per tenere sveglio lo spirito, c'è soltanto il caffè, la malattia, l'insonnia o l'ossessione della morte; la miseria vi contribuisce in misura eguale, se non maggiore: il terrore del domani, come quello dell'eternità, i problemi di denaro, come le paure metafisiche, escludono il riposo e l'abbandono.
Tutte le nostre umiliazioni provengono dal fatto che non sappiamo risolverci a morire di fame. Questa viltà, la paghiamo cara. Dipendere dagli uomini senza avere la vocazione del mendicante! Abbassarsi dinanzi a queste bertucce abbigliate, fortunate, infatuate! essere alla mercé di queste caricature indegne finanche del disprezzo! è la vergogna di sollecitare una qualsiasi cosa che suscita la voglia di annientare questo pianeta, con le sue gerarchie e le degradazioni che esse comportano. La società non è un male, è un disastro: quale stupido miracolo che ci si possa vivere!
Quando la si osserva, tra la rabbia e l'indifferenza, diventa inspiegabile che nessuno abbia potuto demolirne l'edificio, che non ci siano state fino a oggi persone abbastanza perbene, disperate e dignitose, da raderla al suolo e cancellarne le tracce.
Vi sono molte analogie fra il mendicare un soldo dalla città e l'attendere una risposta dal silenzio dell'universo. L'avarizia governa i cuori e la materia. Mi disgusta quell'esistenza taccagna che tesaurizza i quattrini e i misteri: le borse sono altrettanto inaccessibili delle profondità dell'Ignoto. Ma, chi sa?, può darsi che un giorno questo Ignoto si palesi e apra i suoi tesori; mai, finché avrà sangue nelle vene, il Ricco dissotterrerà i suoi denari... Vi confesserà le sue vergogne, i suoi vizi, i suoi crimini, ma mentirà sulla sua fortuna; vi farà tutte le confidenze, vi metterà a disposizione la sua vita, ma non potrete condividere il suo ultimo segreto, il suo segreto pecuniario...
La miseria non è una condizione transitoria: coincide con la certezza che, qualunque cosa accada, non avrete mai niente, che siete nati al di qua del circuito dei beni, che dovete combattere per respirare, che dovete conquistare perfino l'aria, perfino la speranza, perfino il sonno, e che, quand'anche la società scomparisse, la natura non sarebbe meno inclemente né meno pervertita. Nessun principio paterno si prese cura della Creazione: ovunque tesori sepolti: ecco Arpagone demiurgo, l'Altissimo spilorcio e abbottonato. è Lui che vi ha istillato il terrore del domani: non bisogna stupirsi che la religione stessa sia una forma di questo terrore.
Per gli indigenti di sempre, la miseria è come uno stimolante che essi abbiano preso una volta per tutto, senza possibilità di annullarne l'effetto; o come una scienza infusa che, prima di ogni conoscenza della vita, ne abbia potuto descrivere l'inferno...


 
 

Emil 135



I SEMPLICI DI SPIRITO

Osservate l'accento con cui un uomo pronuncia la parola "verità", l'inflessione di sicurezza o di riserva che vi mette, l'aria di chi ci crede o di chi ne dubita, e sarete informati sulla natura delle sue opinioni e sulla qualità del suo spirito. Non c'è parola più vuota; e tuttavia gli uomini se ne fanno un idolo e ne trasformano il nonsenso in un criterio e insieme in uno scopo del pensiero. Questa superstizione - che scusa l'uomo comune e squalifica il filosofo - deriva dall'intrusione della speranza nella logica. Ci viene ripetuto che la verità è inaccessibile, eppure bisogna cercarla, tendere ad essa, sforzarsi di raggiungerla. Ecco una restrizione che non ci distingue da coloro che affermano di averla trovata: l'importante è credere che la verità sia possibile - possederla o aspirare ad essa sono due atti che derivano da un medesimo atteggiamento. Di una parola come di un'altra facciamo un'eccezione: terribile usurpazione del linguaggio! Io  considero semplice di spirito chiunque parli della Verità con convinzione: il fatto è che ha in serbo delle maiuscole, e se ne serve ingenuamente, senza frode né disprezzo. Per quanto riguarda il filosofo, il suo minimo cedimento a questa idolatria lo smaschera: in lui il cittadino trionfa sul solitario. La speranza che emerge da un pensiero, questo rattrista o fa sorridere... è un'indecenza mettere troppa anima nelle grandi parole: la puerilità di ogni forma di entusiasmo per la conoscenza... Ed è tempo che la filosofia, gettando il discredito sulla Verità, si emancipi da tutte le maiuscole.  

Emil 134



I MIEI EROI

Quando si è giovani, ciascuno di noi ha i suoi eroi. Io ho avuto i miei: Heinrich von Kleist, Karoline von Günderode, Gérard de Nerval, Otto Weininger... Ebbro del loro suicidio, avevo la certezza che essi soltanto erano andati sino in fondo; che avevano tratto, nella morte, la conclusione giusta del loro amore contrariato o appagato, del loro spirito incrinato o della loro convulsione filosofica. Il fatto  che un uomo sopravvivesse alla propria passione bastava a rendermelo spregevole o abietto: come dire che ritenevo superflua l'intera umanità, giacché scoprivo in essa un numero infimo di grandi decisioni, e un tale compiacimento nell'invecchiare che io me ne distoglievo, risoluto a farla finita prima di arrivare alla trentina. Ma a mano a mano che gli anni passavano, perdevo l'orgoglio della giovinezza: ogni giorno, come una lezione di umiltà, mi ricordava che ero ancora vivo, che tradivo i miei sogni fra gli uomini putrefatti di vita. Sfinito dall'attesa di non essere più, consideravo un dovere trapassarsi le carni quando l'aurora spunta su una notte d'amore, e una volgarità senza nome avvilire con la memoria un eccesso di sospiri. O, in altri momenti, come insultare ancora la durata con la propria presenza, quando si è afferrato tutto in una dilatazione che innalza l'orgoglio sul trono dei cieli? Pensavo allora che il solo atto che un uomo potesse compiere senza vergogna fosse quello di togliersi la vita, e che nessuno avesse il diritto di sminuirsi nella successione dei giorni e nell'inerzia dell'infelicità. Non ci sono eletti, mi ripetevo, al di fuori di quelli che si danno la morte. Ancora oggi stimo di più un portinaio che si impicca di un poeta vivo. L'uomo beneficia di una dilazione del suicidio: ecco la sua sola gloria, la sua sola scusa. Ma egli non ne è cosciente, e taccia di viltà il coraggio di coloro che osarono elevarsi con la morte al di sopra di se stessi. Noi siamo legati gli uni agli altri dal tacito patto di andare avanti fino all'ultimo respiro; tuttavia questo patto, che cementa la nostra solidarietà, ci condanna: l'intera nostra razza ne è infamata. Non c'è salvezza fuori del suicidio. Strano a dirsi, la morte, benché eterna, non è entrata nei costumi: solo realtà, essa tuttavia non può diventare moda. Così, in quanto vivi, siamo tutti antiquati...
     

Emil 133



FANTASIA MONACALE

I tempi in cui c'erano donne che prendevano il velo per nascondere al mondo, come a se stesse, l'avanzare dell'età, l'appannarsi del loro splendore, lo svanire del loro fascino... e in cui c'erano uomini che, stanchi di gloria e di fasto, lasciavano la corte per rifugiarsi nella vita devota... La moda di convertirsi per pudore è scomparsa col Grand Siècle: l'ombra di Pascal e un riflesso di Jacqueline si stendono, come seduzioni invisibili, sull'ultimo dei cortigiani, sulla bellezza più frivola. Ma i Port-Royal furono distrutti una volta per tutte, e con essi i luoghi propizi alle agonie discrete e solitarie.
Non c'è più la civetteria del convento: dove cercare ancora, per addolcire il nostro decadimento, una cornice insieme cupa e sontuosa? Un epicureo come Saint-évremond ne immaginava una di suo gusto, confortevole e molle quanto il suo savoir-vivre. In quei tempi bisognava ancora tener contro Dio, adattarlo all'incredulità, includerlo nella solitudine. Accomodamento piacevolissimo, tramontato per sempre! Noi invece avremmo bisogno di chiostri altrettanto spogli, altrettanto vuoti delle nostre anime, per smarrirci in essi senza l'assistenza dei cieli, in una purezza di ideali assenti; di chiostri adatti agli angeli disingannati che, nella loro caduta, a furia di illusioni vinte, restassero ancora immacolati. Agogniamo una moda di ritiri in un'eternità senza fede, una vestizione nel nulla, un Ordine affrancato dai misteri, nel quale nessun "fratello" potesse appellarsi a niente, sdegnando la propria come l'altrui salvezza, un Ordine dell'impossibile salvezza...

IN ONORE DELLA FOLLIA

Better I were distract: so should my thoughts be served from
my griefs.

Così esclama Gloucester davanti alla follia di re Lear... Per separarci dalle nostre pene, la nostra ultima risorsa è il delirio; sottoposti ai suoi traviamenti, non incontriamo più le nostre afflizioni: paralleli ai nostri dolori e al margine delle nostre tristezze, noi vaneggiamo in una tenebra salutare. Quando si esecra quella scabbia che si chiama vita, e si è stanchi dei pruriti della durata, la sicurezza del folle in mezzo alle sue angustie diventa una tentazione e un modello: che una sorte benigna ci dispensi dalla nostra ragione! Non c'è via d'uscita finché l'intelletto rimane più attento ai moti del cuore, finché non se ne disabitua! Io aspiro alle notti dell'idiota, alle sue sofferenze minerali, alla fortuna di gemere con indifferenza come se si trattasse dei gemiti di un altro, a un calvario in cui si è estranei a sé, in cui le proprie grida vengono da altrove, a un inferno anonimo nel quale si danza e si ghigna distruggendosi. Vivere e morire in terza persona, esiliarmi in me stesso, dissociarmi dal mio nome, distolto per sempre da quello che fui: attingere infine - dato che la vita è tollerabile solo a questo prezzo - la saggezza della demenza...

Emil 132



NEL SEGRETO DEI MORALISTI

Quando abbiamo riempito l'universo di tristezza, non ci resta altro, se vogliamo ravvivare lo spirito, che la gioia, l'impossibile, la rara, la folgorante gioia; ed è proprio quando non speriamo più che subiamo la fascinazione della speranza: la Vita - dono offerto ai vivi da coloro che sono ossessionati dalla morte... Poiché l'orientamento dei nostri pensieri non è quello dei nostri cuori, coltiviamo un'inclinazione segreta verso tutto ciò che calpestiamo. Se uno rileva lo scricchiolio della macchina del mondo è perchè ha troppo sognato le risonanze delle sfere celesti: non potendo udirle, si umilia ad ascoltare soltanto il baccano circostante. Le parole amare emanano da una sensibilità esulcerata, da una delicatezza ferita. Il veleno di un La Rochefoucauld o di uno Chamfort fu la rivincita che essi si presero contro un mondo fatto per i bruti. Ogni amarezza nasconde una vendetta e si traduce in un sistema: il pessimismo è la crudeltà dei vinti che non possono perdonare alla vita di aver ingannato le loro attese.

L'allegria che vibra colpi mortali... la giocosità che dissimula il pugnale sotto un sorriso... Penso a certi sarcasmi di Voltaire, a certe repliche di Rivarol, alle battute sferzanti di Madame du Deffand, al sogghigno che trapela dietro tanta eleganza, alla leggerezza aggressiva dei salotti, alle arguzie che divertono e che uccidono, all'asprezza che è racchiusa in un eccesso  di civiltà... E penso a un moralista ideale - una combinazione di slancio lirico e di cinismo -, esaltato e glaciale, diffuso e incisivo, vicino alle Reveries quanto alle Liaisons dangereuses, o capace di fondere in sé Vauvenargues e Sade, il tatto e l'inferno...
Osservatore dei costumi su se stesso, non avendo bisogno di attingere altrove, la minima attenzione che rivolgesse a sé gli svelerebbe le contraddizioni della vita, di cui rifletterebbe tutti gli aspetti così bene che, per la vergogna di essere un semplice doppione, essa svanirebbe...

Non c'è attenzione il cui esercizio non conduca a un atto di annientamento: è la fatalità dell'osservazione, con tutti gli inconvenienti che ne derivano per l'osservatore, dal moralista classico fino a Proust. Tutto si dissolve sotto l'occhio scrutatore: le passioni, i legami a tutta prova, gli entusiasmi sono proprio degli spiriti semplici, fedeli agli altri e a se stessi.
Una traccia di lucidità nel "cuore" ne fa la sede di sentimenti finti, trasforma l'innamorato in Adolphe e l'insoddisfatto in René.Chi ama non esamina l'amore, chi agisce non medita sull'azione: se studio il mio "prossimo" è perchè ha cessato di esserlo, e io non sono più "io" se mi analizzo: divento oggetto, allo stesso titolo degli altri. Il credente che soppesa la propria fede finisce col mettere Di sulla bilancia e salvaguardare il proprio fervore soltanto per timore di perderlo. Situato agli antipodi dell'ingenuità, dell'esistenza integra e autentica - il moralista si esaurisce in un faccia a faccia con se stesso e gli altri: commediante, microcosmo di sottintesi, non tollera l'artificio che gli uomini, per vivere, accettano spontaneamente e incorporano nella loro natura. Tutto gli sembra convenzione: egli svela i moventi dei sentimenti e degli atti, smaschera i simulacri della civiltà in quanto soffre di averli intravisti e sorpassati: giacché questi simulacri fanno vivere, sono la vita, mentre la sua esistenza, contemplandoli, si perde nella ricerca di una "natura" che non esiste e che, se anche esistesse, gli sarebbe altrettanto estranea degli artifici che a essa sono stati aggiunti. Ogni forma di complessità psicologica ridotta ai suoi elementi, spiegata a sezionata, comporta un'operazione assai più nefasta per l'operatore che per la vittima. Liquidiamo i nostri sentimenti se ne seguiamo i meandri, come i nostri slanci se ne spiamo la traiettoria; quando poi consideriamo nei particolari gli impulsi degli altri, non sono loro a smarrirsi per via... Tutto quello a cui non si partecipa sembra irragionevole; ma coloro che si muovono non possono non avanzare, mentre l'osservatore da qualunque parte si volga, registra il loro inutile trionfo soltanto per scusare la propria sconfitta. Il fatto è che non c'è vita se non nella disattenzione alla vita.


Emil 131



AI FUNERALI DEL DESIDERIO

In ogni cellula si spalanca una caverna infinitesimale... Noi sappiamo dove le malattie si insediano, il loro luogo, la specifica debolezza degli organi; ma questo male senza sede, quest'oppressione sotto il peso di mille oceani, questo desiderio di un veleno malefico in grado ideale...
La volgarità della primavera, le provocazioni del sole, della verzura, della linfa... il mio sangue si disintegra quando le gemme si schiudono, quando l'uccello e il bruto si manifestano...Invidio i pazzi completi, il sonno del ghiro, gli inverni dell'orso, la secchezza del saggio; scambierei con il loro torpore la mia frenesia d'assassino prolisso che sogna crimini al di qua del sangue.
E più di tutti invidio quegli imperatori della decadenza, tetri e crudeli, che venivano pugnalati nel bel mezzo dei loro crimini.
Mi abbandono allo spazio come la lacrima di un cieco. Di chi sono io la volontà, chi vuole in me? Mi piacerebbe che un demone concepisse una cospirazione contro l'uomo: sarei pronto ad associarmi. Stanco di ingarbugliarmi nelle esequie dei miei desideri, avrei finalmente un pretesto ideale, giacché la Noia è il martirio di quelli che non vivono e non muoiono per nessuna fede.  

L'IRREFUTABILE DELUSIONE

Tutto la suffraga, la alimenta e la rafforza; essa corona - sapiente, irrecusabile - avvenimenti, sentimenti, pensieri. Non c'è istante che non la consacri, impulso che non la risollevi, riflessione che non la confermi. Divinità il cui regno non ha confini, più potente della fatalità che la serve e la illustra, legame fra la vita e la morte, essa le riunisce, le confonde, e se ne nutre. Paragonate ai suoi argomenti e alle sue dimostrazioni, le scienze sembrano un cumulo di stravaganze. Niente potrebbe diminuire il fervore dei suoi disgusti: vi sono forse verità, fiorenti in una primavera d'assiomi, che possano sfidare il suo dogmatismo visionario, la sua orgogliosa insania? Non c'è febbre di giovinezza né squilibrio dello spirito che resistano alle sue certezze, e i suoi trionfi sono proclamati all'unisono dalla saggezza e dalla demenza. Dinanzi al suo dominio senza falle, dinanzi alla sua sovranità senza limiti, le nostre ginocchia si piegano: tutto incomincia con l'ignorarla e tutto finisce col sottomettervisi; non c'è un solo atto che non la fugga e non ce n'è uno che non sia riconducibile ad essa. Ultima parola quaggiù, è l'unica che non delude...

Emil 130



IL DETERIORAMENTO SUPREMO

C'è qualcosa che rivaleggia con la battona più sordida, qualcosa di sporco, di logoro, di sfatto, che eccita e sconcerta la rabbia - un vertice di esasperazione e un articolo buono per tutti i momenti: è la parola, ogni parola, e più precisamente quella di cui ci si serve. Dico: albero,casa, io, magnifico, stupido - potrei dire qualsiasi cosa, e sogno un assassino di tutti i nomi e di tutti gli aggettivi, di tutti questi rutti decorosi. Talvolta mi sembra che siano morti e che nessuno voglia sotterrarli. Per viltà li consideriamo ancora vivi e continuiamo a sopportare il loro odore senza turarci il naso. Eppure non sono né esprimono più nulla. Quando si pensa a tutte le bocche attraverso le quali sono passati, a tutti gli aliti che li hanno corrotti, a tutte le circostanze in cui sono stati proferiti, ci si può ancora servire di uno solo di essi senza esserne contaminati?
Ce li gettano già belli e masticati; e tuttavia non oseremmo inghiottire un alimento masticato da altri: l'atto materiale che corrisponde all'uso della parola ci dà la nausea; basta, però, un momento di collera per sentire dietro qualsiasi parola un sapore di saliva estranea.
Per rinfrescare il linguaggio bisognerebbe che l'umanità cessasse di parlare: essa ricorrerebbe con profitto ai segni o, più efficacemente, al silenzio. La prostituzione della parola è il sintomo più visibile del suo avvilimento; non ci sono più vocaboli intatti, né articolazioni pure, e tutto si degrada a furia di ripetizioni, finanche le cose significate. Per quale motivo ogni generazione non dovrebbe imparare un nuovo idioma, non fosse che per dare una nuova linfa agli oggetti? Come è possibile amare e odiare, divertirsi e soffrire usando simboli anemici? La "vita", la "morte" - stereotipi metafisici, enigmi desueti... L'uomo dovrebbe crearsi un'altra illusione di realtà e inventare a questo scopo altre parole, poiché le sue mancano di sangue e, al loro stadio di agonia, non c'è più trasfusione possibile.   

Emil 129



DISCIPLINA DELL'ATONIA

Come cera sotto l'azione del sole, di giorno fondo e di notte mi solidifico: alternanza che mi decompone e mi restituisce a me stesso, metamorfosi nell'inerzia e nell'oziosità... A questo doveva approdare tutto ciò che ho letto e appreso, è questo lo scopo delle mie veglie? La pigrizia ha affievolito i miei entusiasmi, rammollito i miei appetiti, snervato le mie rabbie. Chi  non si lascia andare mi sembra un mostro: logoro le mie forze nell'apprendistato dell'abbandono e mi esercito nell'inoperosità, opponendo ai miei capricci i paragrafi di un'Arte di Marcire.
Dappertutto persone che vogliono: mascherata di passi precipitosi verso scopi meschini o misteriosi; volontà che si incrociano; ognuno vuole; la massa vuole; migliaia di persone tese verso non si sa che cosa. Io non sono capace di seguirle, e ancora meno di sfidarle; mi fermo stupefatto: quale prodigio ha ispirato loro tanta alacrità? Mobilità allucinante: in così poca carne tanto vigore e tanta isteria! Questi scalmanati che nessuno scrupolo calma, nessuna saggezza acquieta, nessuna amarezza sconcerta... Sfidano i pericoli con maggior disinvoltura degli eroi: sono inconsapevoli apostoli dell'efficace, santi dell'Immediato... divinità nelle fiere del tempo...
Me ne distolgo, e lascio i marciapiedi del mondo... Eppure vi fu un tempo in cui ammiravo i conquistatori e le api, in cui sono stato lì lì per sperare; ma adesso il movimento mi sgomenta e l'energia mi affligge. C'è più saggezza nel lasciarsi trascinare dai flutti che nel lottare contro di essi. Postumo a me stesso, mi ricordo del Tempo come di una puerilità o di una mancanza di gusto. Senza desideri, senza ore in cui farli fiorire, ho soltanto la certezza di essermi sopravvissuto da sempre, feto roso da un'idiozia onnisciente prima ancora che le sue palpebre si aprissero, e nato morto di chiaroveggenza...