Emil 103
L'ESTETA AGIOGRAFO
Non è certo un segno di benedizione essere stati ossessionati dall'esistenza dei santi. A questa ossessione si mescola un gusto per le malattie e un'avidità di depravazioni. Ci si preoccupa della santità solamente se si è stati delusi dai paradossi terreni; allora se ne cercano altri, di una natura più strana, imbevuta di profumi e di verità ignoti; si spera in follie introvabili nei brividi quotidiani, follie cariche di un esotismo celeste - ci si scontra così con i santi, con i loro gesti, la loro temerità, il loro universo. Spettacolo inconsueto! Ci si ripromette di restare a contemplarlo per tutta la vita, di esaminarlo con una dedizione voluttuosa, di sottrarsi alle altre tentazioni perchè finalmente si è incontrata quella vera e inaudita. Ecco l'esteta diventato agiografo, pronto per un pellegrinaggio erudito...Egli lo intraprende senza sospettare che è soltanto una passeggiata, e che in questo mondo tutto delude, anche la santità.
Emil 102
IL RIFIUTO DI PROCREARE
Colui che, avendo consumato i propri appetiti, si avvicina a una forma limite di distacco, non vuole più perpetuare se stesso; detesta sopravvivere in un altro, al quale d'altronde non avrebbe più niente da trasmettere; la specie lo sgomenta: è un mostro - e i mostri non generano più. L' "amore" continua ad affascinarlo: un'aberrazione in mezzo ai suoi pensieri. Egli vi cerca un pretesto per ritornare alla condizione comune, ma il figlio gli sembra inconcepibile, come la famiglia, come l'eredità, come le leggi della natura. Senza professione né discendenza, egli attua
- ultima ipostasi - il proprio compimento. Ma, per quanto lontano sia dalla fecondità, è superato da un mostro ben più audace: il santo, esempio insieme fascinoso e ripugnante, rispetto al quale ci si trova sempre a mezza strada e in una posizione falsa; la sua, per lo meno, è chiara: più nessun gioco è possibile, più nessun dilettantismo. Giunto sulle cime dorate dei propri disgusti, agli antipodi della Creazione, il santo ha fatto del proprio nulla un'aureola. La natura non ha mai conosciuto una simile calamità: dal punto di vista della perpetuazione egli segna una fine assoluta, un epilogo radicale. Essere tristi, come Léon Bloy, perchè non siamo santi, significa desiderare la sparizione dell'umanità... in nome della fede! Quanto sembra invece positivo il diavolo, che, costringendosi a inchiodarci alle nostre imperfezioni, opera - suo malgrado, tradendo la propria essenza - per la nostra conservazione! Sradicate i peccati: la vita appassisce bruscamente. Le follie della procreazione svaniranno un giorno - per stanchezza piuttosto che per santità. Più che per aver teso alla perfezione l'uomo si esaurirà per essersi dissipato: assomiglierà allora a un santo vuoto, e sarà altrettanto lontano dalla fecondità della natura di quanto lo è questo modello di compimento e di sterilità.
L'uomo procrea soltando restando fedele al destino generale. Se si avvicina all'essenza del demonio o dell'angelo, diventa sterile o produce aborti. Per Raskol'nikov, per Ivan Karamazov o Stavrogin l'amore non è più che un pretesto per accellerare la loro perdita e questo stesso pretesto viene meno per Kirillov, il quale non si misura più con gli uomini, ma con Dio. Quanto all'Idiota o ad un Alesa, il fatto che l'uno scimmiotti Gesù e l'altro gli angeli colloca immediatamente entrambi fra gli impotenti...
Ma sottrarsi alla catena degli esseri umani e rifiutare l'idea di ascendenza o di posterità non significa tuttavia rivaleggiare con il santo, il cui orgoglio supera ogni dimensione terrestre. In effetti, dietro la decisione con la quale si rinuncia a tutto, dietro l'incommensurabile impresa di questa umiltà si cela un'effervescenza demoniaca: il punto iniziale, l'avvio della santità assume l'aspetto di una sfida rivolta alla specie; successivamente il santo ascende la scala della perfezione, incomincia a parlare d'amore, di Dio, si volge verso gli umili, incuriosisce le folle - e ci irrita. Ciò non toglie che egli ci abbia lanciato il guanto...
L'odio della "specie" e del suo "genio" rende simili agli assassini, ai dementi, alle divinità e ai tutti i grandi sterili. A partire da un certo grado di solitudine, bisognerebbe cessare di amare e di compiere l'affascinante sozzura dell'accoppiamento. Chi vuole perpetuare se stesso a ogni costo si distingue a malapena dal cane: è ancora natura; non capirà mai che si possa subire il dominio degli istanti e ribellarsi a essi, godere dei vantaggi della specie e disprezzarli: fin de race - con appetiti... Ecco il conflitto di chi adora e abomina la donna, supremamente indeciso fra l'attrazione e il digusto che ella ispira. Perciò - incapace di rinnegare totalmente la specie - risolve questo conflitto sognando, sopra un seno, il deserto, e mescolando al tanfo di troppo concreti sudori un profumo di chiostro. Le insincerità della carne lo avvicinano ai santi...
Solitudine dell'odio... Sensazione di un dio volto alla distruzione, un dio che calpesta le sfere, sbava sull'azzurro e sulle costellazioni, un dio frenetico, sudicio e malsano - demiurgia che proietta, attraverso lo spazio, paradisi e latrine; cosmogonia da delirium tremens: apoteosi convulsiva in cui il fiele corona gli elementi... Le creature si protendono verso un archetipo di laidezza e agognano un ideale di deformità... Universo del ghigno, giubilo della talpa, della iena e del pidocchio... Non c'è più orizzonte, se non per i mostri e la canaglia. Tutto si avvia verso la turpitudine e la cancrena: questo globo che suppura mentre i viventi mostrano le loro piaghe sotto i raggi di quel cancro luminoso...
Emil 101
L'immaginazione concepisce facilmente un avvenire in cui gli uomini esclameranno in coro: "Noi siamo gli ultimi: stanchi del futuro, e ancor più di noi stessi, abbiamo spremuto il succo della terra e spogliato i cieli. Né la materia né lo spirito possono ancora nutrire i nostri sogni: questo universo è arido quanto i nostri cuori. Non c'è più sostanza da nessuna parte: i nostri antenati ci lasciarono in eredità la loro anima a brandelli e il loro midollo tarlato. L'avventura volge al termine; la coscienza muore; i nostri canti si sono dileguati; su di noi splende il sole dei moribondi!"
Se, per caso o per miracolo, le parole svanissero, sprofonderemmo in un'angoscia e in un'ebetudine intollerabili. Questo mutismo improvviso ci esporrebbe al supplizio più crudele. è l'uso del concetto che ci rende padroni dei nostri terrori.
Noi diciamo: la Morte - e questa astrazione ci dispensa dal percepirne l'immensità e l'orrore. Battezzando le cose e gli eventi, eludiamo l'Inesplicabile: l'attività dello spirito è un imbroglio salutare, un gioco di prestigio; ci permette di circolare dentro una realtà addolcita, confortante e inesatta. Imparare a maneggiare i concetti - disimparare a guardare le cose...
La riflessione nacque in un giorno di fuga; la pompa verbale ne fu la conseguenza. Ma quando si ritorna a sé e si è soli - senza la compagnia delle parole - si riscopre l'universo privo di qualificazioni, l'oggetto puro, l'evento nudo: dove attingere l'audacia di affrontarli? Non si specula più sulla morte, si è la morte; anzichè decorare la vita e assegnarle degli scopi, le si toglie ogni ornamento e la si riduce al suo giusto significato: un eufemismo del Male. Le grandi parole: destino, sfortuna, sventura, si spogliano del loro splendore, ed è allora che si scorge la creatura alle prese con organi deboli, schiacciata da una materia prostrata e attonita. Togliete all'uomo la menzogna dell'Infelicità, dategli il potere di guardare dietro questo vocabolo: non potrebbe sopportare nemmeno per un istante la sua infelicità.
Sono l'astrazione, le sonorità senza contenuto, prolisse e ridondanti, che gli hanno impedito di sprofondare, non le religioni e gli istinti.
Quando Adamo fu cacciato dal paradiso, anziché vituperare il suo persecutore si affrettò a battezzare le cose: era l'unico modo di adattarvisi e di dimenticarle - le basi dell'idealismo erano state poste. E quello che fu un semplice gesto, una reazione di difesa nel primo balbuziente, divenne teoria in Platone, Kant e in Hegel.
Per non soffermarci troppo sull'accidente che siamo, noi convertiamo in entità persino il nostro nome: come si può morire quando ci si chiama Pietro o Paolo? Ciascuno di noi, attento più all'apparenza immutabile del proprio nome che alla fragilità del proprio essere, si abbandona a un'illusione di immortalità; se l'articolazione verbale svanisse, saremmo completamente soli; il mistico che sposa il silenzio ha rinunciato alla sua condizione di creatura. Immaginiamolo, per di più, senza fede - mistico nichilista - e avremo il coronamento disastroso dell'avventura terrestre.
... è fin troppo naturale pensare che l'uomo, stanco delle parole, stremato dal ripetersi insulso dei tempi, sbattezzerà le cose e getterà i loro nomi, insieme al proprio, in un grande autodafé in cui le sue speranze saranno inghiottite. Stiamo tutti correndo verso questo modello finale, verso l'uomo muto e nudo...
Sento l'età della Vita, la sua vecchiaia, la sua decripetezza.
Da ere incalcolabili, essa scorre sulla superficie del globo grazie al miracolo di quella falsa immortalità che è l'inerzia; indugia ancora nei reumatismi del Tempo, di quel tempo più vecchio di lei, estenuato da un delirio senile, dalla monotona ripetizione dei suoi istanti, dalla sua durata vaneggiante.
E sento tutta la pesantezza della specie, e ne ho assunto tutta la solitudine. Se solo sparisse! Ma la sua agonia si prolunga verso un'eternità di putrefazione. Concedo a ciascun istante la libertà di distruggermi: non vergognarsi di respirare è da mascalzoni.
Più nessun patto con la vita, più nessun patto con la morte: avendo disimparato a essere, accetto di cancellarmi. Il Divenire - che misfatto!
Passata attraverso tutti i polmoni, l'aria non si rinnova più. Ogni giornata aborre il proprio domani, e io mi sforzo inutilmente di immaginare il volto di un solo desiderio. Tutto mi è di peso: stremato come una bestia da soma che sia stata caricata della Materia, mi trascino dietro i pianeti.
Mi si offra un altro universo - o soccomberò.
Amo solo l'irrompere e lo sprofondare delle cose, il fuoco che le suscita e quello che le divora. La durata del mondo mi esaspera; la sua nascita e la sua scomparsa mi incantano. Vivere sotto la fascinazione del sole verginale e del sole decrepito; saltare le pulsazioni del tempo per afferrarne la prima e l'ultima; fantasticare sull'apparizione degli astri e sul loro dileguarsi; disdegnare la routine dell'essere e precipitarsi verso le due voragini che la minacciano; esaurirsi all'inizio e al termine degli istanti...
... Così si scopre in sé il Selvaggio e il Decadente, coabitazione predestinata e contraddittoria: due personaggi che subiscono la stessa attrazione del passaggio, l'uno dal nulla verso il mondo, l'altro dal mondo verso il nulla: è il bisogno di una doppia convulsione, su scala metafisica. Tale bisogno si traduce, su scala storica, nell'ossessione dell'Adamo che il paradiso espulse e di colui che la terra espellerà: due estremi dell'impossibilità dell'uomo.
Per quello che c'è di "profondo" in noi, siamo esposti a tutti i mali: nessuna salvezza è possibile finché restiamo conformi al nostro essere. Qualcosa deve sparire dalla nostra composizione, e una fonte nefausta esaurirsi; perciò non si dà che un'unica soluzione: abolire l'anima, le sue aspirazioni e i suoi abissi; i nostri sogni ne furono avvelenati; la si deve estirpare, insieme col suo bisogno di "profondità", con la sua fecondità "interiore", e con le altre sue aberrazioni. Lo spirito e la sensazione ci basteranno; dal loro concorso nascerà una disciplina della sterilità che ci preserverà dagli entusiasmi e dalle angosce. Che nessun "sentimento" ci turbi più, e che l' "anima" diventi la più ridicola delle anticaglie...
Emil 100
Poiché l'esistenza dell'uomo è l'avventura più considerevole e più strana che la natura abbia mai conosciuto, è inevitabile che sia anche la più breve; la sua fine è prevedibile e auspicabile: rinviarla indefinitamente sarebbe un'indecenza. Una volta accettati i rischi della sua eccezionalità, l'animale paradossale giocherà ancora per secoli, se non per millenni, la sua ultima carta. Dobbiamo lamentarcene? è evidente che non eguaglierà mai più le sue glorie passate: niente lascia presagire che le sue possibilità susciteranno un giorno un rivale di Bach o di Shakespeare. La Decadenza si manifesta in primo luogo nelle arti: la "civiltà" sopravvive per un certo tempo alla loro decomposizione. Così sarà dell'uomo: continuerà le sue prodezze, ma le sue risorse spirituale saranno inaridite, come pure la sua freschezza d'ispirazione. La sete di potenza e di dominio ha troppo presa sulla sua anima: quando sarà padrone di tutto, non lo sarà più della propria fine.
Non possedendo ancora tutti i mezzi per distruggere e distruggersi, non perirà subito; ma è indubbio che si fabbricherà un mezzo di annientamento totale prima di scoprire una panacea, la quale peraltro non sembra rientrare nelle possibilità della natura. Si annienterà in quanto creatore: dobbiamo concludere che tutti gli uomini spariranno dalla terra? Non bisogna essere tanto ottimisti. Una buona parte, i sopravvissuti, continueranno a trascinarvisi, razza di sottouomini, scrocconi dell'apocalisse...
Emil 99
Non c'è alcun bisogno di credere a una verità per sostenerla, né di amare un'epoca per giustificarla, dato che ogni principio è dimostrabile e ogni avvenimento legittimo. L'insieme dei fenomeni - frutti dello spirito o del tempo, non importa - è suscettibile di esser accolto o negato secondo la nostra disposizione del momento:
gli argomenti, che siano prodotti dal nostro rigore o dai nostri capricci, si equivalgono sotto ogni aspetto.Niente è indifendibile - dalla proposizione più assurda al crimine più mostruoso. La storia delle idee, come quella dei fatti, si sviluppa in un clima di insensatezza: chi potrebbe, in buona fede, trovare un arbitro capace di risolvere i litigi di questi gorilla anemici o sanguinari?
La terra è il luogo in cui si può affermare tutto con la stessa verosomiglianza: qui assiomi e deliri sono intercambiabili; slanci e prostrazioni si confondono; elevazioni e bassezze partecipano di un medesimo movimento. Indicatemi un solo caso a sostegno del quale non sia possibile trovare nulla. Gli avvocati dell'inferno non hanno meno ragioni di quelli del cielo - e io difenderei la causa del saggio e quella del folle con lo stesso fervore. Il tempo corrompe tutto ciò che si manifesta e agisce: un'idea o un avvenimento, attuandosi, prendono forma e si degradano. Così, quando la moltitudine degli umani si mise in moto, ne derivò la Storia e, con essa, l'unico desiderio puro che abbia ispirato: che si concluda in un modo o nell'altro.
Troppo maturi per altre aurore, e avendo compreso troppi secoli per desiderarne di nuovi, non ci resta che sguazzare nelle scorie della civiltà. Il cammino del tempo seduce ormai solo gli imberbi e i fanatici...
Siamo i grandi decrepiti, oppressi da antichi sogni, inetti per sempre all'utopia, tecnici delle spossatezze, affossatori del futuro, atterriti dalle reincarnazioni del vecchio Adamo. L'Albero della Vita non conoscerà più alcuna primavera: è legno secco; se ne faranno bare per le nostre ossa, per i nostri sogni e per i nostri dolori. La nostra carne ha ereditato il fetore delle belle carogne disseminate lungo i millenni. La loro gloria ci ha affascinati, e noi l'abbiamo esaurita. Nel cimitero dello Spirito riposano i princìpi e le formule: il Bello è definito, e lì sotterrato. E con lui il Vero, il Bene, il Sapere e gli Dèi. Vi marciscono tutti assieme. (La Storia: ambito in cui si decompongono le maiuscole e, con esse, chi le immaginò e le ebbe care.)
...Mi aggiro in questo cimitero. Sotto quella croce dorme il suo ultimo sonno la Verità; accanto a lei il Fascino; un po' più in là, il Rigore, e, sopra una moltitudine di lapidi che ricoprono deliri e ipotesi, si erge il mausoleo dell'Assoluto: qui giacciono le false consolazioni e le vette ingannatrici dell'anima. Ma, ancora più in alto, a coronare questo silenzio, aleggia l'Errore - e trattiene i passi del funebre sofista.
Emil 98
Secondo Meister Eckhart, la divinità precede Dio, ne è l'essenza, il fondo insolubile. Che cosa troveremmo, nel più intimo dell'uomo, che ne definisca la sostanza in opposizione all'essenza divina? La nevrastenia; essa dunque sta all'uomo come la divinità sta a Dio.
Viviamo in un clima di sfinimento; l'atto di creare, di forgiare, di fabbricare, è meno significativo per se stesso che non per il vuoto, per la caduta che lo segue. Rispetto ai nostri sforzi, sempre e inevitabilmente compromessi, il fondo divino e inesauribile si situa fuori del campo dei nostri concetti e delle nostre sensazioni. L'uomo è nato con la vocazione alla stanchezza: quando adottò la stazione eretta e diminuì così le sue possibilità d'appoggio, si condannò a debolezze sconosciute all'animale che era stato. Portare su due gambe tanta materia e tutti i disgusti che vi si connettono!
Le generazioni accumulano la stanchezza e la trasmettono; i nostri padri ci lasciano in eredità un patrimonio di anemia, riserve di scoraggiamento, risorse di decomposizione e un impulso a morire che diventa più potente dei nostri istinti di vita. è così che l'abitudine a sparire, sostenuta dal nostro capitale di stanchezza, ci permetterà di realizzare, nella carne diffusa, la nevrastenia - la nostra essenza...
Emil 97
Sentire il peso della storia, il fardello del divenire e quell'accasciamento sotto il quale la coscienza si piaga quando considera la massa e l'inanità degli avvenimenti trascorsi o possibili... La nostalgia invoca inutilmente uno slancio ignaro delle lezioni che si traggono da tutto ciò che è stato: vi è una spossatezza per la quale il futuro stesso è un cimitero, un cimitero virtuale come tutto ciò che attende di essere.
I secoli si sono appesantiti e opprimono l'istante.
Siamo più marci di tutte le età, più decomposti di tutti gli imperi. La nostra prostrazione interpreta la storia, il nostro affanno ci permette di sentire i rantoli delle nazioni.
Attori clorotici, ci prepariamo a recitare parti da comprimari nelle repliche del tempo: il sipario dell'universo è tarmato , attraverso i suoi buchi non si vedono che maschere e fantasmi...
L'errore di coloro che colgono la decadenza è di volerla combattere, mentre bisognerebbe incoraggiarla: sviluppandosi, essa si esaurisce e permette l'avvento di altre forme. Il vero annunziatore non è colui che propone un sistema quando nessuno lo vuole, ma colui che precipita il Caos, ne è l'agente e il turiferario. è volgare strombazzare dogmi in epoche estenuate, quando ogni sogno di avvenire sembra delirio o impostura. Avviarsi verso la fine della storia con un fiore all'occhiello - unico contegno dignitoso nello svolgimento del tempo. Peccato che non ci sia un Giudizio universale, che manchi l'occasione di una grande sfida! I credenti: istrioni dell'eternità; la fede: bisogno di una scena intemporale... Ma noi increduli moriamo con i nostri scenari, troppo stanchi per lasciarci lusingare da fasti promessi ai nostri cadaveri...
Emil 96
C'è un Weltschmerz, un "male del secolo", che è solo la malattia di una generazione; ce n'è un altro che si sprigiona da tutta l'esperienza storica e che s'impone come l'unica conclusione per i tempi a venire. è il vague à l'ame, la malinconia della "fine del mondo". Tutto cambia aspetto, perfino il sole, tutto invecchia, perfino l'infelicità...
Incapaci di retorica, noi siamo i romantici del disinganno lucido. Oggi Werther, Manfred, René, conoscendo il loro male, lo manifesterebbero senza pompa. Biologia, fisiologia, psicologia - nomi grotteschi che, sopprimendo l'ingenuità della nostra disperazione e introducendo l'analisi dei nostri canti, ci fanno disprezzare la declamazione! Passate per i Trattati, le nostre dotte amarezze spiegano le nostre onte e classificano le nostre frenesie.
Quando la coscienza arriverà a sovrastare tutti i nostri segreti, quando dalla nostra infelicità sarà sgomberato l'ultimo residuo di mistero, ci resterà ancora un po' di febbre e di esaltazione per contemplare la rovina dell'esistenza e della poesia?
Emil 95
L'alessandrinismo è un periodo di dotte negazioni, uno stile dell'inutilità e del rifiuto, una passeggiata di erudizione e di sarcasmo attraverso la confusione dei valori e delle fedi. Il suo spazio ideale si troverebbe nell'intersezione tra l'Ellade e la Parigi di un tempo, nel punto d'incontro tra l'agorà e il salotto. Una civiltà si evolve dall'agricoltura al paradosso.
Tra questi due estremi si svolge la lotta delle barbarie contro la nevrosi: ne risulta l'instabile equilibrio delle epoche creatrici. Questa lotta sta per concludersi: tutti gli orizzonti si aprono senza che nessuno di essi possa suscitare una curiosità nello stesso tempo stanca e vigile. Tocca quindi all'individuo disingannato svilupparsi nel vuoto, al vampiro intellettuale abbeverarsi al sangue viziato delle civiltà.
Bisogna prendere la storia sul serio o assistervi da spettatori?
Vedervi uno sforzo verso un fine o la festa di una luce che si avviva e impallidisce senza necessità né ragione? La risposta dipende dal nostro grado di illusione sull'uomo, dal nostro desiderio di indovinare in che modo finirà quel misto di valzer e di mattatoio che compone e stimola il suo divenire.
Emil 94
Quando un popolo non ha più alcun pregiudizio nel sangue, non gli resta altra risorsa che la volontà di disgregarsi. Imitando la musica, disciplina della dissoluzione, dà l'addio alle passioni, all'effusione lirica, alla sentimentalità, all'accecamento. Ormai non potrà più adorare senza ironia: il sentimento della distanza sarà per sempre il suo retaggio.
Il pregiudizio è una verità organica, falsa in se stessa, ma accumulata per generazioni e trasmessa: non ce ne si può disfare impunemente. Il popolo che vi rinuncia senza scrupoli rinnega poi se stesso fino al punto di non avere più niente da rinnegare.
La durata e la consistenza di una collettività coincidono con la durata e la consistenza dei suoi pregiudizi. I popoli orientali devono la loro perennità alla fedeltà verso se stessi: non essendosi evoluti, non si sono traditi; e non hanno vissuto, nel senso in cui la vita è concepita presso le civiltà dal ritmo precipitoso, le sole di cui si occupi la storia; perchè la storia, disciplina delle aurore e delle agonie affannose, è un romanzo che aspira al rigore e attinge la sua materia dagli archivi del sangue...
Emil 93
Come mi è caro quel filosofo di Alessandria di nome Olimpio che, sentendo una voce cantare l'Alleluia nel serapeo, andò esule per sempre! Era verso la fine del IV secolo: la lugubre stoltezza della Croce proiettava già le sue ombre sullo Spirito.
Più o meno a quell'epoca, un grammatico, Pallada, poteva scrivere:
"Noi greci non siamo più altro che cenere. Le nostre speranze sono sottoterra, come quelle dei morti". E ciò vale per tutte le menti di quel tempo.
Invano i Celso, i Porfirio, i Giuliano l'Apostata si ostinano ad arrestare l'invasione di quel nebuloso sublime che trabocca dalle catacombe: gli apostoli hanno lasciato le loro stigmate nelle anime e moltiplicato le devastazioni nelle città.
L'èra della grande Laidezza incomincia: un'isteria senza qualità si estende sul mondo. San Paolo - il più notevole agente elettorale di tutti i tempi - ha fatto i suoi giri, infestando con le proprie epistole la limpidezza del crepuscolo antico. Un epilettico che trionfa su cinque secoli di filosofia!
La Ragione confiscata dai Padri della Chiesa!
E se cerco la data più mortificante per l'orgoglio dello spirito, se scorro l'inventario delle intolleranze, non trovo niente di paragonabile a quell'anno 529 in cui, per ordine di Giustiniano, fu chiusa la scuola di Atene. Soppresso ufficialmente il diritto alla decadenza, credere diventa un obbligo... è il momento più doloroso della Storia del Dubbio.
Emil 92
Nelle civiltà in declino il crepuscolo è il segno di una nobile punizione. Che deliziosa ironia devono provare, queste civiltà, nel vedersi escluse dal divenire, dopo aver fissato per secoli le norme del potere e i criteri del gusto! Con ciascuna di esse si spegne un intero mondo. Ah, le sensazioni dell'ultimo greco, dell'ultimo romano! Come non invaghirsi dei grandi tramonti?
Il fascino d'agonia che circonda una civiltà, dopo che ha affrontato tutti i problemi e li ha meravigliosamente falsati, offre maggiori attrattive dell'inviolata ignoranza con cui essa incominciò.
Ogni civiltà configura una risposta alle domande che l'universo suscita; ma il mistero rimane intatto: altre civiltà, con nuove curiosità, vi si cimenteranno, altrettanto vanamente, dato che ciascuna è soltanto un sistema di errori...
All'apogeo si generano valori; al crepuscolo, ormai logori e disfatti, li si indebolisce. Fascinazione della decadenza - delle epoche in cui le verità non hanno più vita, in cui si ammucchiano come scheletri nell'anima pensosa e arida, nell'ossario dei sogni...
Emil 91
Dal dialogo non è mai uscito niente di monumentale, di esplosivo, di "grande". Se l'umanità non si fosse divertita a discutere le proprie forze non avrebbe superato la visione e i modelli di Omero. Ma la dialettica, devastando la spontaneità dei riflessi e la freschezza dei miti, ha ridotto l'eroe a un esemplare vacillante. Gli Achille di oggi hanno ben più di un tallone da temere... La vulnerabilità, un tempo parziale e senza conseguenze, è diventata il privilegio maledetto, l'essenza di ogni essere umano. La coscienza è penetrata ovunque, e si è insediata fin dentro il midollo; perciò l'uomo non vive più nell'esistenza, ma nella teoria dell'esistenza...
Colui che, lucido, si comprende, si spiega, si giustifica, e domina i propri atti, non farà mai un gesto memorabile. La psicologia è la tomba dell'eroe. Alcuni millenni di religione e di ragionamento hanno indebolito i muscoli, la decisione e l'impulso all'avventura. Come non disprezzare le imprese della gloria? Ogni atto al quale non presieda la luminosa maledizione dello spirito rappresenta un avanzo di stupidità ancestrale. Le ideologie furono inventate solo per dare lustro al fondo di barbarie che si mantiene attraverso i secoli, per coprire le inclinazioni omicide comuni a tutti gli uomini. Oggi si uccide in nome di qualcosa; non si osa più farlo spontaneamente, al punto che i boia stessi devono invocare delle motivazioni e, dato che l'eroismo è diventato desueto, colui che ne prova la tentazione più che consumare un sacrificio risolve un problema. L'astrazione si è insinuata nella vita e nella morte; i "complessi" si impadroniscono dei piccoli e dei grandi. Dall'Iliade alla psicopatologia: in questa formula c'è tutta la strada percorsa dall'uomo...
Emil 90
C'è una pienezza di declino in tutte le civiltà troppo mature. Gli istinti si indeboliscono; i piaceri si dilatano e non corrispondono più alla loro funzione biologica; la volutta diventa fine a se stessa, il suo prolungamento un'arte, l'elusione dell'orgasmo una tecnica, la sessualità una scienza. Procedimenti e ispirazioni libreschi per moltiplicare le vie del desiderio, l'immaginazione torturata per variare i preliminari del godimento, lo spirito stesso applicato a un settore estraneo alla sua natura e sul quale non dovrebbe aver presa: ecco altrettanti simili di impoverimento del sangue e di intellettualizzazione morbosa della carne. L'amore concepito come rituale rende l'intelligenza sovrana nel regno della stupidità. Gli automatismi ne soffrono; ostacolati, perdono quell'impazienza di scatenare un'inconfessabile contorsione; i nervi diventano teatro di malesseri e di brividi chiaroveggenti, la sensazione infine si prolunga oltre la sua durata bruta grazie all'abilità di due torturatori della voluttà studiata. è l'individuo che inganna la specie, è il sangue troppo tiepido per poter ancora stordire lo spirito, è il sangue raffreddato e depauperato dalle idee, il sangue razionale...
Gli istinti sono rosi dalla conversazione...
Emil 89
Emil 88
Montesquieu sostiene che, alla fine dell'Impero, l'esercito romano era composto solamente dalla cavalleria. Ma trascura di indicarcene la ragione. Immaginiamo il legionario saturo di gloria, ricchezza e depravazione dopo aver percorso innumerevoli paesi e aver perso la sua fede e il suo vigore a contatto con tanti templi e tanti vizi, immaginiamolo a piedi! Ha conquistato il mondo da fante; da cavaliere lo perderà. In ogni forma di mollezza si rivela un'incapacità fisiologica di aderire ancora ai miti della città. Il soldato emancipato e il cittadino lucido soccombono di fronte al barbaro. La scoperta della Vita annienta la vita.
Quando un intero popolo, a livelli diversi, va a caccia di sensazioni rare; quando, con le sottigliezze del gusto, complica i propri riflessi, significa che è passato a un grado di superiorità fatale. La decadenza non è che l'istinto diventato impuro sotto l'azione della coscienza. Non si terrà mai abbastanza conto della gastronomia nell'esistenza di una collettività. L'atto cosciente di mangiare è un fenomeno alessandrino; il barbaro si nutre. L'eclettismo intellettuale e religioso, l'ingegnosità sensuale, l'estetismo - e l'ossessione della buona tavola - sono i segnali diversi di una stessa forma di spirito. Quando Gavio Apicio peregrinava lungo le coste africane alla ricerca di aragoste, senza tuttavia stabilirsi in alcun luogo perchè non riusciva a trovarne di suo gusto, si rivelava contemporaneo di quelle anime inquiete che adoravano la moltitudine degli dèi stranieri senza trovarvi né appagamento né pace. Sensazioni rare - divinità diverse, frutti paralleli di una stessa aridità, di una stessa curiosità senza molla interiore. Apparve il cristianesimo: un solo Dio - e il digiuno. Cominciò così un'èra triviale e sublime...
Un popolo muore quando non ha più forza di inventare nuovi dèi, nuovi miti, nuove assurdità; i suoi idoli impallidiscono e scompaiono; ne attinge altrove, e si sente solo di fronte a mostri sconosciuti. è ancora la decadenza. Se però uno di quei mostri prevale, un altro mondo si mette in moto, rozzo, oscuro, intollerante, fino a quando non esaurisce il suo dio e se ne affranca; perchè l'uomo è libero - e sterile - solo nelle epoche in cui gli dèi muoiono; schiavo - e creatore - solo in quelle in cui - tiranni - essi prosperano.
Emil 87
VOLTI DELLA DECADENZA
Una civiltà comincia a decadere nel momento stesso in cui la Vita diventa la sua unica ossessione. Le epoche di apogeo coltivano i valori per se stessi: la vita non è che un mezzo per realizzarli; l'individuo non sa di vivere, vive - schiavo felice delle forme che genera, coltiva e idolatra. L'affettività lo domina e lo riempie. Non si dà creazione senza le risorse del "sentimento", che sono limitate; tuttavia per chi ne avverte solo la ricchezza, esse sembrano inesauribili: questa illusione produce la storia. Nella decadenza, l'inaridimento affettivo permette solo due modi di sentire e di comprendere: la sensazione e l'idea. Ora, proprio in virtù dell'affettività ci si consacra al mondo dei valori, si proietta una vitalità nelle categorie e nelle norme. L'attività di una civiltà nei suoi momenti fecondi consiste nel far uscire le idee dalla loro astratta incosistenza, nel trasformare i concetti in miti. Il passaggio dell'individuo anonimo all'individuo cosciente non si è ancora compiuto: eppure è inevitabile. Giudicate voi stessi: in Grecia, da Omero ai sofisti; a Roma, dall'antica Repubblica austera alle "saggezze" dell'Impero; nel mondo moderno, dalle cattedrali ai merletti del XVIII secolo.
Una nazione non può creare indefinitamente. è chiamata a dare senso ed espressione a una somma di valori che si esauriscono con l'anima che li ha generati. Il cittadino si risveglia da un'ipnosi produttiva: incomincia il regno della lucidità; le masse maneggiano ormai solo vuote categorie. I miti ridiventano concetti: è la decadenza. E le conseguenze si fanno sentire: l'individuo vuole vivere, converte la vita in finalità, si innalza al rango di piccola eccezione. Il bilancio di queste eccezioni, che costituisce il deficit di una civiltà, ne prefigura la scomparsa. Tutti giungono alla raffinatezza - ma non è proprio la radiosa stupidità dei semplici a realizzare l'opera delle grandi epoche?
Emil 86
LA BRAMA DI DOMINIO
Un Cesare è più simile a un sindaco di paese che a uno spirito sovranamente lucido ma privo di istinto di dominio. L'importante è comandare: la quasi totalità degli uomini aspira a questo. Che abbiate in mano vostra un impero, una tribù, una famiglia o un domestico, farete comunque valere le vostre doti di tiranno, glorioso o caricaturale: ai vostri ordini c'è tutto il mondo, o una sola persona. Così si crea la serie di calamità che nascono dal bisogno di dominare... Siamo circondati da satrapi: ciascuno di essi - a seconda dei suoi mezzi - si cerca una folla di schiavi o si contenta di uno solo. Nessuno basta a se stesso: il più modesto troverà sempre un amico o una compagna su cui far valere il proprio sogno di autorità. Chi obbedisce si farà obbedire a sua volta: da vittima diventa carnefice: questo è il desiderio supremo di tutti. Soltanto i mendicanti e i saggi non lo provano - a meno che il loro gioco non sia più sottile...
La brama di potenza permette alla Storia di rinnovarsi rimanendo tuttavia sostanzialmente la stessa; le religioni cercano di combatterla ma riescono soltanto a esasperarla. Se il cristianesimo si fosse realizzato pienamente, la terra sarebbe un deserto o un paradiso. Sotto le forme variabili che l'uomo può rivestire si cela una costante, un'essenza identica, che spiega perchè, contro ogni apparenza di mutamento, noi ci muoviamo in un cerchio - e perché, se perdessimo, a seguito di un intervento soprannaturale, la nostra qualità di mostri e di fantocci, la storia scomparirebbe subito.
Provate a essere liberi: morirete di fame. La società vi tollera soltanto a patto che siate successivamente servili e dispotici; è una prigione senza guardiani - ma dalla quale non si evade senza perire. Dove andare, quando non si può più vivere se non nella città pur non avendone gli istinti, e quando non si è né tanto intraprendenti da mendicare né tanto equilibrati da dedicarsi alla saggezza? Alla fin fine, si rimane lì, come tutti, fingendo di affaccendarsi; ci si decide a questo passo estremo grazie alle risorse dell'artificio, dato che è meno ridicolo simulare la vita che viverla.
Finché gli uomini avranno la passione della città, regnerà in essa un cannibalismo mascherato. L'istinto politico è conseguenza diretta del Peccato, la materializzazione è conseguenza diretta della Caduta. Ciascuno dovrebbe essere preposto alla propria solitudine, invece ciascuno sorveglia quella degli altri. Gli angeli e i banditi hanno i loro capi: come potrebbero le creature intermedie - il grosso dell'umanità - non averne? Togliete loro il desiderio di essere schiavi o tiranni: demolirete la città in un batter d'occhio. Il patto delle scimmie è siglato per sempre; e la storia va per la sua strada, orda affannata tra crimini e sogni. Niente la può fermare: quegli stessi che la esecrano partecipano alla sua corsa...
POSIZIONE DEL POVERO
Proprietari e mendicanti: due categorie che si oppongono a qualsiasi cambiamento, a qualsiasi disordine innovatore. Trovandosi alle due estremità della scala sociale, temono ogni modificazione in bene o in male: sono egualmente sistemati, gli uni nell'opulenza, gli altri nella miseria. Fra loro si collocano - sudore anonimo, fondamento della società - quelli che si agitano, penano, perseverano e coltivano l'assurdità di sperare. Lo Stato si nutre della loro anemia; senza di loro, l'idea di cittadino non avrebbe né contenuto né realtà, così come il lusso e l'elemosina: i ricchi e i barboni sono i parassiti del Povero.
Se ci sono mille rimedi alla miseria, non ce n'è nessuno per la povertà. Come soccorrere coloro che si ostinano a non morire di fame? Nemmeno Dio potrebbe migliorare la loro sorte. Tra i favoriti della fortuna e i cenciosi, circolano questi affamati dignitosi, sfruttati dall'opulenza e dall'accattonaggio, depredati da coloro che, avendo orrore del lavoro, si stabiliscono, a seconda delle possibilità o della vocazione, in salotto o in strada. Ed è così che va avanti l'umanità: con qualche ricco, qualche mendicante - e tutti i suoi poveri...
Emil 85
SULLA MALINCONIA
Quando non ci si può liberare di se stessi, ci si diverte a divorarsi. è vano appellarsi al Signore delle Ombre, dispensatore di una maledizione definita: si è malati senza malattia, e reprobi senza vizi. La malinconia è la condizione sognata dall'egoismo: nessun altro oggetto all'infuori di sé, nessun altro motivo di odio e di amore, ma quella stessa caduta in una melma stagnante, quello stesso rivoltarsi di dannati senza inferno, quelle stesse reiterazioni di un'ansia di perire...Mentre la tristezza si accontenta di una cornice di fortuna, alla malinconia serve un'orgia di spazio, un paesaggio sconfinato per diffondervi la sua grazia scontrosa ed evanescente, il suo male senza contorni che, nel timore di guarire, paventa un limite alla propria dissoluzione e al proprio ondeggiamento. Essa sboccia - ed è fiore più strano dell'amor proprio - fra i veleni da cui trae la sua linfa e il vigore di tutte le sue debolezze. Nutrendosi di ciò che la corrompe essa cela, sotto il nome melodioso, l'Orgoglio della disfatta e la Compassione di sé.
Emil 84
L'AUTOMA
Respiro per pregiudizio. E contemplo lo spasimo delle idee, mentre il Vuoto sorride a se stesso... Non più sudore nello spazio, non più vita; ma la minima volgarità la farà riapparire: basta aspettare un attimo.
Quando ci si sente esistere, si prova la sensazione di un demente meravigliato che sorprenda la propria follia e cerchi invano di darle un nome. L'abitudine ottunde il nostro stupore di essere: noi siamo - e passiamo oltre, riprendiamo il nostro posto nel manicomio degli esistenti.
Conformista, io vivo, cerco di vivere, per imitazione, per rispetto delle regole del gioco, per orrore dell'originalità. Rassegnazione da automa: fingere un'apparenza di fervore e riderne segretamente; piegarsi alle convenzioni soltanto per ripudiarle di nascosto; figurare in tutti i registri, ma senza residenza nel tempo; salvare la faccia mentre sarebbe doveroso perderla...
Colui che disprezza tutto deve assumere una perfetta aria di dignità, indurre in errore gli altri e perfino se stesso: adempirà così più facilmente il suo compito di finto vivo. A che scopo esibire il proprio decadimento quando si può fingere la prosperità?L'inferno non conosce le buone maniere: è l'immagine esasperata di un uomo franco e screanzato, è la terra concepita senza alcuna superstizione di eleganza e civiltà.
Accetto la vita per urbanità: la rivolta perpetua è di cattivo gusto quanto la sublimità del suicidio. A vent'anni ci si scaglia contro il cielo e il lerciume che esso copre; poi ci si stanca. La posa tragica si addice soltanto a una pubertà protratta e ridicola;ma occorrono mille prove per accedere all'istrionismo del distacco.
Colui che, emancipato da tutte le regole della consuetudine, non possedesse doti di attore, sarebbe l'archetipo della sventura, l'essere idealmente infelice. Inutile costruire questo modello di franchezza: la vita non è tollerabile se non per il grado di mistificazione che vi si mette. Un tale modello sarebbe la rovina istantanea della società, dato che la "dolcezza" del vivere in comune sta nell'impossibilità di dar libero sfogo all'infinità dei nostri pensieri riposti. Se ci sopportiamo a vicenda è solo perchè siamo tutti impostori. Chi non accettasse di mentire vedrebbe la terra sfuggirgli sotti i piedi: noi siamo biologicamente costretti al falso. Non esiste eroe morale che non sia o puerile o inefficace o inautentico; giacché la vera autenticità è la sozzura nella frode, nelle convenienze dell'adulazione pubblica e della diffamazione segreta. Se i nostri simili potessero prendere atto delle nostre opinioni su di loro, l'amore, l'amicizia, la devozione sarebbero depennati per sempre dai dizionari; e se avessimo il coraggio di guardare in faccia i dubbi che concepiamo timidamente, su noi stessi, nessuno proferirebbe un "io" senza vergognarsi. La mascherata investe tutto ciò che vive, dal troglodita fino allo scettico.Poiché è soltanto il rispetto delle apparenze a separarci dalle carogne, fissare il fondo delle cose e degli esseri significa perire; atteniamoci a un più confortevole nulla: la nostra costituzione può tollerare solo una certa dose di verità...
Sforziamoci di conservare nel nostro intimo una certezza superiore a ogni altra: la vita non ha senso, non può averne. Dovremmo ucciderci all'istante, se una rivelazione inattesa ci persuadesse del contrario. Sparisse l'aria, continueremmo a respirare; ma soffocheremmo subito se ci venisse tolta la gioia dell'inanità...
Emil 83
MUSICA E SCETTICISMO
Ho cercato il Dubbio in tutte le arti, non l'ho trovato se non mascherato, furtivo, sfuggito alle pause dell'ispirazione, sorto da un allentamento dello slancio: ma ho rinunciato a cercarlo - anche in questa forma - nella musica; qui non può germogliare: ignorando l'ironia, la musica proviene non già dalle malizie dell'intelletto ma dalla sfumature tenere o veementi dell'Ingenuità - idiozia del sublime, irriflessione dell'infinito... Poiché il motto di spirito non ha equivalente sonoro, definire intelligente un musicista significa denigrarlo. Questo attributo lo sminuisce ed è inammissibile in quella cosmogonia languida in cui egli, come un dio cieco, improvvisa universi. Se il musicista fosse consapevole del proprio dono; ma egli non ne è responsabile; nato nell'oracolo, non è in grado di comprendere se stesso. Spetta agli sterili interpretarlo: egli non è critico, così come Dio non è teologo.
Caso limite di irrealtà e di assoluto, finzione infinitamente reale, menzogna più veritiera del mondo - la musica perde il suo fascino non appena, aridi o malinconici, ci dissociamo dalla Creazione, e lo stesso Bach ci sembra un rumore insulso; essa è il punto estremo della nostra non partecipazione alle cose, della nostra freddezza e della nostra decadenza. Sogghignare in pieno sublime - trionfo sardonico del principio soggettivo, che ci rende simili al Diavolo!
è perduto colui che non ha più lacrime per la musica, che vive soltanto del ricordo di quelle versate: la chiaroveggenza sterile avrà avuto ragione dell'estasi - che un tempo generava mondi...
Emil 82
LA NOIA DEI CONQUISTATORI
Parigi gravava su Napoleone, per sua stessa ammissione, come una "cappa di piombo": ciò costò la vita a dieci milioni di uomini. è il bilancio del "male del secolo" quando ne diviene l'agente un René a cavallo. Questo male, nato nell'ozio dei salotti del Settecento, tra le mollezze di un'aristocrazia troppo lucida, provocò devastazioni nelle più lontane compagne: dei contadini dovettero pagare con il sangue una forma di sensibilità estranea alla loro natura, come lo era a tutto un continente. Poiché le nature eccezionali in cui si è insinuata la noia hanno orrore di qualsiasi luogo e sono ossessionate da un perenne altrove, sfruttano l'entusiasmo dei popoli unicamente per moltiplicarne i cimiteri. Quel condottiero che piangeva su Werther e su Ossian, quell'Obermann che proiettava il suo vuoto nello spazio e che, a detta di Joséphine, fu capace solo di pochi attimi di abbandono, ebb come missione inconfessata quella di spopolare la terra.
Il conquistatore sognante è la maggior calamità per gli uomini; ciò non toglie che essi si precipitino equalmente a idolatrarlo, affascinati come sono dai progetti strampalati, dagli ideali nocivi, dalle ambizioni insane. Nessun uomo ragionevole è mai stato oggetto di culto, né ha lasciato una traccia, un'impronta su un solo avvenimento. Imperturbabile davanti a una concezione precisa o a un idolo trasparente, la folla si entusiasma in presenza dell'inverificabile, dei falsi misteri. Chi è mai morto in nome del rigore? Ogni generazione innalza monumenti ai carnefici di quella che l'ha preceduta. è anche vero, però, che le vittime accettarono di buon grado di essere immolate, dal momento che credettero nella gloria, nel trionfo di uno solo, nella disfatta di tutti...
L'umanità ha adorato soltanto coloro che l'hanno fatta perire. I regni in cui i cittadini si spensero pacificamente non trovano grande spazio nella storia, e nemmeno il principe saggio, disprezzato in ogni tempo dai suoi sudditi; la folla ama il romanzo, anche a proprie spese, perchè lo scandalo dei costumi forma la trama della curiosità umana e la corrente sotterranea di ogni avvenimento; la donna infedele e il cornuto forniscono alla commedia, alla tragedia e perfino all'epopea la quasi totalità dei loro motivi. Poiché l'onestà non ha né biografia né fascino, dall'Iliade fino alla farsi l'unica cosa capace di divertire e incuriosire è sempre stato il propalarsi del disonore. è dunque del tutto naturale che l'umanità si sia offert in pasto ai conquistatori, che voglia farsi calpestare, che una nazione senza tiranni non faccia parlare di sé, che la quantità di infamie commesse da un popolo sia l'unico indizio della sua presenza e della sua vitalità. Una nazione che non stupra più è in piena decadenza; è dal numero degli stupri che essa rivela i suoi istinti, il suo avvenire. Cercate di scoprire a partire da quale guerra essa abbia smesso di praticare, su larga scala, questi tipo di crimine: avrete trovato il primo simbolo del suo declino; da quale momento l'amore sia divenuto un cerimoniale e il letto una condizione dello spasmo, e avrete identificato l'inizio della sua debolezza e la fine della sua eredità barbara.
Storia universale: storia del Male. Togliere i disastri del divenire umano: tanto varrebbe concepire la natura senza stagioni. Non avete contribuito a una catastrofe? Sparirete senza lasciare traccia. Noi suscitiamo l'interesse degli altri in virtù dell'infelicità che spargiamo intorno a noi. "Non ho fatto soffrire nessuno!": un'esclamazione totalmente estranea a una creatura di carne. Quando ci entusiasmiamo per qualche personaggio del presente o del passato ci poniamo inconsciamente il quesito: "Per quanti esseri è stato causa di sventura?". Chissà se ognuno di noi non aspira al privilegio di uccidere tutti i suoi simili... Ma questo privilegio è concesso a pochissimi e mai interamente: tale restrizione spiega da sola perchè la terra sia ancora popolata. Assassini indiretti, noi formiamo una massa inerte, una moltitudine di oggetti di fronte ai veri soggetti del Tempo, di fronte ai grandi criminali che si sono realizzati.
Ma consoliamoci: i nostri discendenti prossimi o lontani ci vendicheranno. Giacché non è difficile immaginare il momento in cui gli uomini si scanneranno per il ribrezzo di se stessi, in cui la Noia avrà ragione dei loro pregiudizi e delle loro reticenze, in cui scenderanno in strada a estinguere la loro sete di sangue e in cui il sogno distruttore, protratto per tante generazioni, diventerà quello di tutti...
Emil 81
TRIBOLAZIONE DI UNO STRANIERO
Nato in qualche tribù sfortunata, percorre in lungo e in largo i viali dell'Occidente. Innamorato successivamente di diverse patrie, non spera più di trovarne una: irrigidito in un crepuscolo intemporale, cittadino del mondo - e di nessun mondo -, è inefficace, non ha nome né vigore. I popoli senza destino non possono darne uno ai loro figli che, assetati di altri orizzonti, se ne innamorano e poi li esauriscono per finire anch'essi con l'essere spettri delle loro ammirazioni e delle loro stanchezze. Non avendo nulla da amare nel loro paese, ripongono il loro amore altrove, in altre contrade, dove il loro entusiasmo stupisce gli indigeni. Troppo sollecitati, i loro sentimenti si logorano e si degradano, l'ammirazione in primo luogo...e lo Straniero che si è dissipato lungo tante strade esclama: "Mi sono fabbricato innumerevoli idoli, ho innalzato dappertutto troppi altari e mi sono inginocchiato davanti a un'infinità di dèi. Adesso, stanco di adorare, ho sperperato la dose di delirio avuta in sorte. Si hanno risorse soltanto per gli assoluti della propria razza, giacché un'anima, al pari di un paese, non sboccia se non entro le proprie frontiere: io pago per averle varcate, per aver eletto l'Indefinito a mia patria e venerato divinità straniere, per essermi prosternato davanti a secoli che avevano escluso i miei antenati. Da dove io venga, non saprei più dire: nei templi, sono senza fede; nelle città, senza ardore; accanto ai miei simili, senza curiosità; sulla terra, senza certezze. Datemi un desiderio preciso e rovescerò il mondo. Liberatemi da quest'onta degli atti che mi fa recitare ogni mattina la commedia della resurrezione, e ogni sera quella della sepoltura; nel frattempo, nient'altro che questo supplizio nel sudario della noia... Sogno di volere - e tutto quello che voglio mi sembra senza valore. Come un vandalo roso dalla malinconia, mi dirigo senza meta, io senza io, verso non so più quali luoghi... per scoprire un dio abbandonato, un dio da lui stesso ateo, e addormentarmi all'ombra dei suoi ultimi dubbi e dei suoi ultimi miracoli."
Emil 80
III
Mentre il verso permette qualsiasi cosa, e voi potete riversarvi lacrime, onte, estasi - e soprattutto lamenti, la prosa vi impedisce di sfogarvi o di lamentarvi: ciò ripugna alla sua astrazione convenzionale. Essa esige altre verità: controllabili, dedotte, misurate. E se invece rubassimo quelle delle poesia, se saccheggiassimo la sua materia e osassimo quanto i poeti?
Perchè non insinuare nel discorso le loro indecenze, le loro umiliazioni, le loro smorfie e i loro sospiri? Perchè non essere decomposti, imputriditi, cadaveri, angeli o Satana nel linguaggio comune, e tradire pateticamente tanti slanci alati e sinistri? Assai più che alla scuola dei filosofi, è a quella dei poeti che si apprende il coraggio dell'intelligenza e l'audacia di essere se stessi. Le loro "affermazioni" fanno impallidire i discorsi più stranamente impertinenti dei sofisti antichi. Nessuno però le adotta: c'è mai stato un solo pensatore che sia andato lontano quanto Baudelaire, o che abbia ardito mettere in sistema una folgorazione di Lear o un monologo di Amleto? Forse Nietzsche, prima della fine, ma, ahimè!, continuava a ostinarsi nei suoi ritornelli da profeta... E se cercassimo dalla parte dei santi? Certe frenesie di Teresa d'Avila o di Angela da Foligno...Ma vi troviamo troppo spesso Dio, questo nonsenso consolatore che, rafforzando il loro coraggio, ne sminuisce la qualità. Aggirarsi senza convinzione, e soli, fra le verità non è cosa da uomini e neppure da santi; a volte, però, da poeti...
Immagino un pensatore che esclami in un moto di orgoglio: "Mi piacerebbe che un poeta si costruisse un destino con i miei pensieri!". Ma perchè la sua aspirazione fosse legittima, bisognerebbe che lui stesso frequentasse a lungo i poeti, che vi attingesse delizie di maledizione e restituisse loro, astratta e compiuta, l'immagine delle loro stesse cadute o dei loro stessi deliri; bisognerebbe soprattutto che soccombesse alla soglia del canto e, inno vivente al di qua dell'ispirazione, conoscesse il rimpianto di non essere poeta - di non essere iniziato alla "scienza delle lacrime", ai flagelli del cuore, alle orge formali, alle immoralità dell'istante...
...Molte volte ho sognato un mostro malinconico ed erudito, esperto di tutti gli idiomi, intimo di tutti i versi e di tutte le anime, che errasse per il mondo, al fine di pascersi di veleni, di fervori, di estasi, attraverso le Persie, le Cine, le Indie defunte e le Europe morenti - molte volte ho sognato un amico dei poeti, che fosse stato spinto a conoscerli tutti dalla disperazione di non essere dei loro.
Emil 79
II
Io riconosco un vero poeta dal fatto che frequentandolo, vivendo a lungo nell'intimità della sua opera, qualcosa si modifica in me: non tanto le mie inclinazioni o i miei gusti, quanto il mio stesso sangue, come se un male sottile vi si fosse insinuato per alterarne il flusso, lo spessore e la qualità. Valery o Stefan George ci lasciano là dove li avevamo incontrati, oppure ci rendono più esigenti sul piano formale dello spirito: sono geni di cui non abbiamo bisogno, non sono che degli artisti. Ma uno Shelley, un Baudelaire, un Rilke agiscono nel più profondo del nostro organismo, che li assorbe come farebbe con un vizio. Accanto a loro, un corpo si fortifica, poi si infiacchisce e si disgrega. Perchè il poeta è un fattore di distruzione, un virus, una malattia mascherata ed è il pericolo più grave, seppure meravigliosamente indefinito, per i nostri globuli rossi. Vivere accanto a lui significa sentire il sangue impoverirsi, significa sognare un paradiso dell'anemia e udire, nelle vene, scorrere le lacrime...
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