Emil 128
L'ARCHITETTO DELLE CAVERNE
La teologia, la morale, la storia e l'esperienza di tutti i giorni insegnano che, per raggiungere l'equilibrio, non c'è un'infinità di segreti - ce n'è uno solo: sottomettersi. "Accettate un giogo" esse ci ripetono "e sarete felici; siate qualche cosa e verrete liberati dalle vostre pene". In effetti, tutto è mestiere quaggiù: professionisti del tempo, funzionari del respiro, dignitari della speranza, un lavoro ci attende ancor prima della nascita: le nostre carriere si preparano nel grembo delle nostre madri. Membri di un universo ufficiale, dobbiamo occuparvi un posto, in virtù di un destino rigido, che non si allenta se non in favore dei folli; essi, almeno, non sono costretti ad avere una fede, ad aderire a un'istituzione, a sostenere un'idea, a seguire un'iniziativa. Da quando la società si è costituita, coloro che hanno voluto sottrarvisi sono stati perseguitati o scherniti. Vi si perdona tutto, purché abbiate un mestiere, una qualifica sotto il vostro nome, un sigillo sul vostro nulla. Nessuno ha l'audacia di esclamare: "Io non voglio fare niente!" - si è più indulgenti con un assassino che non con uno spirito affrancato dagli atti. Moltiplicare le possibilità di sottomissione, rinunciare alla propria libertà, uccidere in sé il vagabondo: così l'uomo ha raffinato la propria schiavitù e si è infeudato ai fantasmi.
Anche i suoi disprezzi e le sue ribellioni, non li ha coltivati se non per esserne dominato, schiavo com'è dei propri atteggiamenti, dei propri gesti e dei propri umori. Uscito dalle caverne, ne ha conservato la superstizione; era loro prigioniero, ne è divenuto l'architetto. Perpetra il suo stato primitivo con maggiore inventiva e sottigliezza; ma, in fondo, ingrandendo o rimpicciolendo la propria caricatura, egli si plagia sfrontatamente. Ciarlatano a corto di trucchi, le sue contorsioni e le sue smorfie incantano ancora.
Emil 127
IL CORRUTTORE
"Le tue ore, dove sono trascorse? Il ricordo di un gesto, il segno di una passione, la luce di un'avventura, una bella e passeggera follia - niente di tutto questo nel tuo passato; nessun delirio porta il tuo nome, nessun vizio ti onora. Sei passato senza lasciara traccia; ma quale fu dunque il tuo sogno?"
"Avrei voluto seminare il Dubbio perfino nelle viscere del globo, intriderne la materia, farlo regnare là dove lo spirito non è mai penetrato e, prima di raggiungere il midollo degli esseri viventi, scuotere la calma delle pietre, introdurvi l'insicurezza e i difetti del cuore. Architetto, avrei costruito un tempio alla Rovina; predicatore, avrei rivelato la farsa della preghiera; re, avrei innalzato l'emblema della ribellione. Poiché gli uomini covano una voglia segreta di ripudiarsi, avrei stimolato dovunque l'infedeltà a se stessi, immerso l'innocenza nello stupore, moltiplicato i traditori di sé, impedito alla massa di imputridire nel marcitoio delle certezze".
Emil 126
MERAVIGLIE DEL VIZIO
Mentre a un pensatore occorre - per dissociarsi dal mondo - il travaglio di un'interrogazione infinita, il privilegio di una tara conferisce immediatamente un destino singolare - offre a chi ne è segnato l'eccellenza di una condizione separata. Osservate l'invertito: ispira due sentimenti contraddittori, disgusto e ammirazione; la sua degradazione lo rende insieme inferiore e superiore agli altri; egli non si accetta, si giustifica davanti a se stesso in ogni momento e si inventa delle ragioni sballottato com'è fra la vergogna e l'orgoglio; e noi intanto - entusiasti delle scempiaggini della procreazione - avanziamo insieme col gregge.
Guai a quelli che non hanno segreti sessuali! Come potremmo riconoscere i vantaggi fetidi delle aberrazioni? Resteremo per sempre progenie della natura, vittime delle sue leggi, insomma alberi umani?
Le carenze dell'individuo determinano il grado di duttilità e di raffinamento di una civiltà. Le sensazioni rare conducono allo spirito e lo ravvivano: l'istinto sviato si situa agli antipodi della barbarie. Ne consegue che un impotente è più complesso di un bruto dai riflessi intatti; che egli realizza meglio di chiunque l'essenza dell'uomo, di questo animale disertore della zoologia, e che si arrichisce di tutte le sue insufficienze, di tutte le sue impossibilità. Sopprimete le tare e i vizi, togliete le pene della carne, e non incontrerete più anime; poiché ciò che si chiama con questo nome è soltanto un prodotto di scandali interiori, una designazione di vergogne misteriose, un'idealizzazione dell'infamia...
Nel fondo della sua ingenuità, il pensatore invidia le possibilità di conoscere aperte a tutto ciò che è contro natura; crede - non senza repulsioni - ai privilegi dei "mostri"... Dato che il vizio è una sofferenza, e la sola forma di celebrità che valga la pena, il vizioso "deve" essere necessariamente più profondo della maggior parte degli uomini, perchè indicibilmente separato da tutti: egli comincia là dove gli altri finiscono.
Un piacere naturale, attinto dall'ovvietà, si annulla in se stesso, si distrugge nei suoi mezzi, spira nella sua attualità, mentre una sensazione insolita è una sensazione pensata, una riflessione nei riflessi. Il vizio raggiunge il più alto grado di coscienza - senza il tramite della filosofia; ma al pensatore occorre tutta una vita per arrivare a quella lucidità affettiva che il pervetito possiede fin dall'inizio. Essi tuttavia si rassomigliano nella loro propensione a sottrarsi agli altri, benché l'uno vi si costringa con la meditazione, mentre l'altro segue semplicemente le meraviglie della sua inclinazione.
Emil 125
IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA
Occorre una buona dose d'incoscienza per dedicarsi senza riserva a checchessia. I credenti, gli innamorati, i discepoli non scorgono se non una faccia delle loro divinità, dei loro idoli, dei loro maestri. Il fervento resta ineluttabilmente ingenuo. C'è forse sentimento puro in cui la mescolanza della grazia e dell'imbecillità non si tradisca, e ammirazione beata senza eclissi dell'intelligenza? Chi intravede simultaneamente tutti gli aspetti di un essere umano o di una cosa resta per sempre indeciso fra lo slancio e lo stupore. Sezionate una fede qualsiasi: quale fasto del cuore - e quante turpitudini là sotto!
è l'infinito sognato in una fogna, di cui serba, incancellabili, l'impronta e il fetore. C'è un notaio, in ogni santo, un droghiere e il fetore. C'è un notaio in ogni santo, un droghiere in ogni eroe, un portinaio nel martire.
In fondo ai sospiri si cela un ghigno; ai sacrifici e alle devozioni si mescolano i vapori del bordello terreno.Osservate l'amore: vi è effusione più nobile, accesso meno sospetto? I suoi brividi gareggiano con la musica, rivaleggiano con le lacrime della solitudine e dell'estasi: è il sublime, ma un sublime inseparabile dalle vie urinarie: trasporti vicini all'escrezione, paradiso delle ghiandole, santità improvvisa degli orifizi...Basta un momento d'attenzione perchè questa ebbrezza, sbollita, vi risospinga nell'immondizia della fisiologia, o un istante di stanchezza per constatare che tanto ardore produce solo una varietà di muco. Lo stato di veglia nelle nostre ubriacature ne altera il sapore e trasforma chi le subisce in un visionario che calpesta pretesti ineffabili. Non si può amare e conoscere nello stesso tempo senza che l'amore ne soffra e muoia sotto lo sguardo della mente. Esaminate i nostri slanci di ammirazione, scrutate chi beneficia del vostro culto e chi approfitta dei vostri abbandoni: sotto i loro pensieri più disinteressati scoprirete l'amor proprio, il pungolo della gloria, la sete di dominio e di potere. Tutti i pensatori sono dei falliti dell'azione che si vendicano della loro sconfitta per il tramite dei concetti. Nati al di qua dell'atto, essi lo esaltano o lo screditano a seconda che aspirino alla riconoscenza degli uomini o a quell'altra forma di gloria che è il loro odio; ed elevano indebitamente le loro deficienze e le loro miserie al rango di leggi, la loro futilità al livello di un principio. Il pensiero è una menzogna al pari dell'amore o della fede. Giacché le verità sono frodi e le passioni odori, e in fin dei conti la scelta è fra ciò che mente e ciò che puzza.
Emil 124
TEORIA DELLA BONTà
"Poiché per te non c'è criterio definitivo né principio irrevocabile, né esiste alcun dio, che cosa ti impedisce di commettere tutti i delitti?"
"Scopro in me tanto male quanto in chiunque altro, ma esecrando l'azione - madre di tutti i vizi - non sono causa di sofferenza per nessuno. Inoffensivo, senza avidità e senza abbastanza energia o impudenza per affrontare gli altri, lascio il mondo come lo ho trovato. Vendicarsi presuppone una vigilanza di ogni istante e uno spirito sistematico, una continuità costosa, mentre l'indifferenza del perdono e del disprezzo rende le ore piacevolmente vuote. Tutte le morali rappresentano un pericolo per la bontà; soltanto l'incuria la salva. Avendo scelto la fiamma dell'imbecille e l'apatia dell'angelo, mi sono escluso dagli atti e, poichè la bontà è incompatibile con la vita, mi sono decomposto per essere buono".
Emil 123
FLUTTUAZIONI DELLA VOLONTà
"Conoscete quella fornace della volontà in cui niente resiste ai vostri desideri, in cui la fatalità e la gravitazione perdono il loro imperio e dileguano davanti alla magia del vostro potere? Sicuri che il vostro sguardo risusciterebbe un morto, che la vostra mano farebbe fremere la materia sulla quale si posa, che le pietre palpiterebbero al vostro contatto, che tutti i cimiteri si illuminerebbero in un sorriso d'immortalità -ripetete a voi stessi: "Ormai non ci sarà più altro che una primavera eterna, una danza di prodigi, e la fine di tutti i sonni. Ho portato un altro fuoco: gli dèi impallidiscono e le creature giubilano; la costernazione si è impadronita delle volte celesti e il frastuono è disceso nelle tombe".
... Qui l'amatore di parossismi, senza più fiato, tace - ma solo per riprendere, con l'accento del quietismo, parole di abbandono:
"Avete mai provato quella sonnolenza che si trasmette alle cose, quella mollezza che indebolisce le linfe e fa sognar loro un autunno vincitore delle altre stagioni? Al mio passaggio le speranze si addormentano, i fiori avvizziscono, gli istinti cedono: tutto cessa di volere, tutto si pente di aver voluto. E ogni essere vivente mi sussurra: "Vorrei che un altro vivesse la mia vita, Dio o lumaca che fosse. Aspiro a una volontà d'inazione, a un infinito irrealizzato, a un'atonia estatica degli elementi, a un'ibernazione in pieno sole che intorpidisca tutto, dal maiale alla libellula..."
Emil 122
EPITAFFIO
"Ebbe l'orgoglio di non comandare mai, di non disporre di niente e di nessuno. Senza subalterni e senza padroni, non diede né ricevette ordini. Sottratto all'imperio delle leggi, e come anteriore al bene e al male, non fece patire anima viva. Nella sua memoria si cancellarono i nomi delle cose; guardava senza percepire, ascoltava senza udire: profumi o aromi svanivano all'avvicinarsi delle sue narici e del suo palato. I sensi e i desideri furono i suoi soli schiavi: perciò non sentirono e non desiderarono. Dimenticò la felicità e infelicità, seti e paure; e, se gli capitava di ricordarsene, disdegnava di nominarle e di abbassarsi così alla speranza o al rimpianto. Il minimo gesto gli costava più sforzi di quanti non costino ad altri la fondazione o il rovesciamento di un impero. Nato stanco di essere nato, volle essere ombra: quando visse dunque? E per colpa di quale nascita? E se, vivendo, portò il proprio sudario, per quale miracolo riuscì a morire?"
SECOLARIZZAZIONE DELLE LACRIME
Soltanto dopo Beethoven la musica si rivolge agli uomini: prima di lui, si intratteneva soltanto con Dio. Bach e i grandi italiani non conobbero quello slittamento verso l'umano, quel falso titanismo che altera, dopo il Sordo, l'arte più pura. La torsione del volere sostituì la grazia; la contraddizione dei sentimenti lo slancio ingenuo; la frenesia il sospiro disciplinato: dato che il cielo era scomparso dalla musica, vi si insediò l'uomo. Un tempo il peccato si effondeva in pianti soavi; venne il momento in cui si rivelò: la declamazione ebbe il sopravvento sulla preghiera, il romanticismo della Caduta trionfò sul sogno armonioso del decadimento...
Bach: languore di cosmogonia; scala di lacrime sulla quale salgono i nostri desideri di Dio; architettura delle nostre fragilità; dissoluzione positiva - e la più alta - della nostra volontà; rovina celeste nella Speranza; solo modo di perderci senza crollare e di sparire senza morire...
è forse troppo tardi per imparare di nuovo questi deliqui? E dovremo continuare a venir meno al di fuori degli accordi dell'organo?
Emil 121
I RETROSCENA DI UN'OSSESSIONE
L'idea del nulla non è la prerogativa dell'umanità laboriosa: coloro che faticano non hanno né il tempo né la voglia di pesare la loro polvere; si rassegnano alle durezze o alle stupidità della sorte; sperano: la speranza è una virtù da schiavi.
Sono i vanitosi, i fatui e le civette che, temendo i capelli bianchi, le rughe e i rantoli, riempiono il loro vuoto quotidiano con l'immagine della loro carogna: essi si amano e si disperano; i loro pensieri volteggiano fra lo specchio e il cimitero, e scoprono nei tratti minacciati del loro volto verità importanti quanto quelle delle religioni. Ogni metafisica incomincia con un'angoscia del corpo, che diventa in seguito universale: sicché gli inquieti per frivolezza prefigurano gli spiriti autenticamente tormentati. L'ozioso superficiale, ossessionato dallo spettro della vecchiaia, è più vicino a Pascal, a Bossuet o a Chateaubriand di quanto non lo sia un dotto incurante di sé. Un tocco di genio nella vanità: eccovi il grande orgoglioso, che si adatta male alla morte e la prende come un'offesa personale. Buddha stesso, superiore a tutti i saggi, non fu altro che un fatuo su scala divina. Scoprì la morte, la sua morte, e, ferito, rinunciò a tutto e impose la sua rinuncia agli altri. Così, le sofferenze più terribili e più inutili nascono da quell'orgoglio piagato che, per far fronte al Nulla, lo trasforma, per vendetta, in Legge.
Emil 120
LA CORDA
Non so più come mi accadde di raccogliere questa confidenza: "Senza lavoro né salute, senza progetti né ricordi, ho relegato lontano da me avvenire e sapere, non possedendo altro che un giaciglio sul quale disimparare il sole e i sospiri. Resto disteso e sgrano le ore; intorno a me utensili, oggetti che mi intimano di perdermi. Il chiodo mi sussurra: trafiggiti il cuore, le poche gocce che ne usciranno non dovrebbero spaventarti. Il coltello insinua: la mia lama è infallibile: un istante di decisione e puoi trionfare sulla miseria e sulla vergogna. La finestra si apre da sola, cigolando nel silenzio: tu dividi con i poveri le alture della città; lànciati, la mia apertura è generosa: sul selciato, in un batter d'occhio, ti schiaccerai insieme col senso e il nonsenso della vita. E una corda si arrotola come su un collo ideale, assumendo il tono di una forza supplichevole: ti aspetto da sempre, ho assistito ai tuoi terrori, ai tuoi abbattimenti e alle tue collere, ho visto le tue coperte gualcite, il cuscino che la tua rabbia mordeva, come ho sentito le bestemmie di cui gratificavi gli dèi. Caritatevole, ti compiango e ti offro i miei servigi. Giacché tu sei nato per impiccarti come tutti coloro che disdegnano una risposta ai loro dubbi o una fuga dalla loro disperazione".
Emil 119
Che la Storia non abbia alcun senso: ecco una cosa di cui rallegrarci. Ci dovremmo tormentare per una risoluzione felice del divenire, per una festa finale di cui soltanto i nostri sudori e i nostri disastri farebbero le spese? Per qualche idiota futuro, esultante sulle nostre pene, saltellante sulle nostre ceneri? La visione di un compimento paradisiaco supera, nella sua assurdità, i peggiori vaneggiamenti della speranza. Tutto ciò che si potrebbe addurre a scusante del Tempo è che vi si trovano momenti più proficui di altri, accidenti trascurabili in un'intollerabile monotonia di perplessità. L'universo incomincia e finisce con ciascun individuo, si tratti di Shakespeare o di un poveraccio, giacché ciascun individuo vive nell'assoluto il proprio valore o la propria nullità...
In virtù di quale stratagemma ciò che sembra essere si sottrasse al controllo di ciò che non è? Un momento di disattenzione, di debolezza in seno al Nulla: le larve ne approfittarono; una lacuna nella sua vigilanza: ed eccoci qua. E come la vita soppiantò il nulla, così essa fu soppiantata a sua volta dalla storia: in tal modo l'esistenza si avventurò in un ciclo di eresie che minarono l'ortodossia del nulla.
Emil 118
La storia è l'ironia in azione, il ghigno dello Spirito attraverso gli uomini e gli avvenimenti. Oggi trionfa una data opinione che domani, vinta, sarà vituperata e rimpiazzata: coloro che vi hanno aderito la seguiranno nella sconfitta. Subentra un'altra generazione: la vecchia opinione torna d'attualità; i suoi monumenti demoliti vengono ricostruiti... in attesa che crollino di nuovo. Nessun principio immutabile regola i favori e le asprezze della sorte: la loro successione partecipa dell'immensa farsa dello Spirito, la quale confonde, nel suo gioco, gli impostori e i ferventi, le astuzie e gli ardori. Osservate le polemiche di ogni secolo: non sembrano motivate né necessarie. Eppure costituirono la vita di quel certo secolo. Calvinismo, quietismo, Port-Royal, Enciclopedia, Rivoluzione, positivismo, ecc.: che sequela di assurdità, per quanto necessarie - che inutile, e tuttavia fatale, sperpero! Dai concili ecumenici fino alle controversie della politica contemporanea, le ortodossie e le eresie hanno aggedito la curiosità dell'uomo con la loro irresistibile insensatezza. Sotto travestimenti diversi vi saranno sempre dei pro e dei contro, che si tratti del Cielo o del Bordello. Migliaia di uomini soffrirono a causa di sottigliezze concernenti la Vergine e il Figlio; migliaia d'altri si tormentarono a causa di dogmi meno gratuiti, ma altrettanto improbabili. Tutte le verità costituiscono delle sètte che finiscono con l'avere un destino da Port-Royal, con l'essere perseguitate e distrutte; poi, una volta che le loro rovine sono divenute care, e si sono rivestite dell'aureola dell'ingiustizia subita, si trasformano in luogo di pellegrinaggio...
Non è meno irragionevole accordare più interesse alle discussioni intorno alla democrazia e alle sue forme che a quelle che ebbero luogo, nel Medioevo, intorno al nominalismo e al realismo: ogni epoca si intossica con un assoluto, secondario e fastidioso, ma in apparenza unico; non si può evitare di essere contemporanei di una fede, di un sistema, di un'ideologia, di appartenere - semplicemente - al proprio tempo. Per emanciparsene, bisognerebbe avere la freddezza di un dio del diprezzo...
Emil 117
Tutte le vie, tutti i metodi della conoscenza sono validi: ragionamento, intuizione, disgusto, entusiasmo, gemito. Una visione del mondo sorretta da concetti non è più legittima di un'altra scaturita dalle lacrime: argomenti o sospiri - forme egualmente probanti ed egualmente nulle. Io costruisco una forma di universo: ci credo, e quello è l'universo - eppure esso si sgretola sotto l'assalto di un'altra certezza o di un altro dubbio.
L'ultimo degli illetterati e Aristotele sono parimenti incofutabili - e fragili. L'assoluto e la caducità caratterizzano l'opera maturata per anni come la poesia sbocciata in un istante. C'è forse più verità nella Fenomenologia dello spirito che nell'Epipsychidion? L'ispirazione folgorante, non meno dell'approfondimento laborioso, presenta risultati definitivi - e irrisori. Oggi preferisco questo scrittore a quello; domani verrà il turno di un'opera che un tempo aborrivo. Le creazioni dello spirito - e i principi che vi presiedono - seguono il destino dei nostri umori, della nostra età, dei nostri entusiasmi e delle nostre delusioni. Mettiamo in discussione tutto ciò che una volta amavamo, e abbiamo sempre ragione e sempre torto, poiché tutto ha valore - e tutto è privo di importanza. Sorrido: un mondo nasce; mi incupisco: esso scompare e un altro si profila. Non ci sono opinioni, sistemi, convinzioni che non siano nello stesso tempo giusti e assurdi, a seconda che vi aderiamo o ce ne distacchiamo.
Non si trova maggior rigore nella filosofia che nella poesia, o nello spirito che nel cuore; il rigore esiste soltanto finché ci si identifica con il principio o la cosa che si affronta o che si subisce; dall'esterno, tutto è arbitrario: ragioni e sentimenti. Ciò che si chiama verità è un errore insufficientemente vissuto, non ancora scalzato, ma che non può tardare a invecchiare, un errore nuovo che attende di compromettere la sua novità. Il sapere fiorisce e appassisce di pari passo con i nostri sentimenti. E se passiamo in rassegna tutte le verità, ciò accade perchè ci siamo esauriti insieme - e non c'è più linfa in noi di quanta non ce ne sia in esse. La Storia è inconcepibile al di fuori di ciò che delude. Così si precisa il desiderio di lasciarci andare alla malinconia, e di morirne...
Il vero sapere si riduce a veglie nelle tenebre: soltanto la quantità delle nostre insonnie ci distingue dagli animali e dai nostri simili. Quale idea ricca o insolita fu mai partorita da un dormiglione? Il vostro sonno è buono? I vostri sogni placidi? Andrete ad accrescere la massa anonima. Il giorno è ostile ai pensieri, il sole li oscura; essi non germinano se non in piena notte...Conclusione del sapere notturno: chiunque pervenga a una conclusione rassicurante su qualsiasi cosa dà prova di idiozia o di falsa carità. Chi mai ha trovato una sola verità gioiosa che avesse valore? Chi ha salvato l'onore dell'intelletto con discorsi diurni? Beato chi può dire a se stesso: "Ho il sapere triste".
Emil 116
Hegel è il grande responsabile dell'ottimismo moderno. Come ha potuto non vedere che la coscienza muta soltanto le sue forme e le sue modalità, ma non progredisce affatto? Il divenire esclude un compiacimento assoluto, un fine: l'avventura temporale si svolge senza una mira esterna a essa, e finirà quando le sue possibilità di avanzare saranno esaurite. Il grado di coscienza varia con le epoche, senza che tale coscienza in virtù della loro successione.
Noi non siamo più coscienti di quanto lo fossero il mondo greco-romano, il Rinascimento o il XVIII secolo; ogni epoca è perfetta in se stessa - e peritura. Vi sono momenti privilegiati in cui la coscienza si esaspera, ma non vi è mai stata un'eclissi della lucidità tale da rendere l'uomo incapace di affrontare i problemi essenziali, dato che la storia è soltanto una crisi perenne, anzi un fallimento dell'ingenuità. Gli stati negativi - per l'appunto quelli che esasperano la coscienza - si distribuiscono diversamente, ma sono presenti in tutte le epoche storiche; equilibrate e "felici", esse conoscono la Noia - termine naturale della felicità; squilibrate e tumultuose, subiscono la Disperazione e le crisi religiose che ne derivano. L'idea del Paradiso terrestre è composta di tutti gli elementi incompatibili con la Storia, con lo spazio in cui fioriscono gli stati negativi.
Emil 115
LO SCENARIO DELLA CONOSCENZA
Le nostre verità non valgono più di quelle dei nostri antenati. Avendo sostituito ai loro miti e ai loro simboli dei concetti, ci riteniamo "progrediti"; ma quei miti e quei simboli non esprimono meno dei nostri concetti. L'Albero della Vita, il Serpente, Eva e il Paradiso non significano meno di Vita, Conoscenza, Tentazione, Incoscienza. Le raffigurazioni concrete del male e del bene nella mitologia non sono meno eloquenti di quanto lo siano il Male e il Bene dell'etica. Il Sapere - in ciò che ha di profondo - non cambia mai: varia soltanto lo scenario. L'amore continua senza Venere, la guerra senza Marte e, se gli dèi non intervongono più negli avvenimenti, non per questo gli avvenimenti sono più comprensibili o meno sconcertanti: un apparato di formule sostituisce soltanto la pompa delle antiche leggende, senza che le costanti della vita umana ne siano modificate, dato che la scienza non le coglie più intimamente di quanto non facciano i racconti poetici. La presunzione moderna non conosce limiti: ci crediamo più illuminati e più profondi di tutti i secoli passati, dimenticando che l'insegnamento di un Buddha pose migliaia di esseri davanti al problema del nulla, problema che immaginiamo di aver scoperto noi perchè ne abbiamo cambiato i termini e vi abbiamo introdotto un pizzico di erudizione. Ma quale pensatore dell'Occidente reggerebbe il confronto con un monaco buddhista? Noi ci perdiamo in testi e terminologie: la meditazione è un dato sconosciuto alla filosofia moderna. Se vogliamo conservare un certo decoro intellettuale, l'entusiasmo per la civiltà, come la superstizione della Storia, devono essere banditi dal nostro spirito. Per quello che concerne i grandi problemi, noi non abbiamo alcun vantaggio rispetto ai nostri antenati o ai nostri predecessori più recenti: si è sempre saputo tutto, almeno per ciò che riguarda l'Essenziale; la filosofia moderna non aggiunge nulla alla filosofia cinese, indù o greca. D'altronde non potrebbe esserci alcun problema nuovo, malgrado la nostra ingenuità o la nostra infatuazione che vorrebbero persuaderci del contrario. Nel gioco delle idee chi mai ha eguagliato un sofista cinese o greco, chi ha spinto più lontano di lui l'ardimento nell'astrazione? I limiti estremi del pensiero sono stati raggiunti da sempre - e in tutte le civiltà. Sedotti dal demone dell'Inedito, dimentichiamo troppo spesso che siamo epigoni del primo pitecantropo che ebbe la pretesa di riflettere.
Emil 114
ESERCIZIO DI INSUBORDINAZIONE
Quanto esecro, O Signore, la turpitudine della tua opera e quelle larve sdolcinate che ti incensano e ti assomigliano! Odiandoti, sono sfuggite alle melensaggini del tuo Regno, alle frottole dei tuoi fantocci. Tu sei l'estintore dei nostri ardori e delle nostre rivolte, il pompiere dei nostri incendi, il preposto ai nostri rimbambimenti. Prima ancora di averti relegato in una formula, ho calpestato i tuoi arcani, disprezzato i tuoi maneggi e tutti quegli artifici che compongono per te una toilette d'Inesplicabile. Mi hai dispensato con larghezza il fiele che la tua misericordia risparmiò ai tuoi schiavi. Poiché non c'è quiete se non all'ombra della tua nullità, al bruto basta rimettersi a te o alle tue contraffazioni per salvarsi. Non so chi compiangere di più, se i tuoi accoliti o me stesso: proveniamo tutti in linea retta dalla tua incompetenza: briciola, bazzecola, bagatella - vocaboli della Creazione, del tuo guazzabuglio...
Di tutto ciò che fu tentato al di qua del nulla, vi è niente che sia più pietoso di questo mondo, se non l'idea che lo ha concepito? Dovunque una cosa respiri vi è un'infermità in più: non c'è palpito che non confermi lo svantaggio di essere; la carne mi sgomenta: questi uomini, queste donne, budellame che brontola per gli spasmi... più nessuna parentela col pianeta: ogni istante non è che un voto nell'urna della mia disperazione.
Che la tua opera cessi o continui, che importa! I tuoi subalterni non potrebbero ultimare ciò che tu hai arrischiato senza genio. Essi tuttavia emergeranno dalla cecità in cui li hai immersi; ma avranno la forza di vendicarsi, e tu di difenderti? Questa razza è arrugginita e tu sei più arrugginito ancora. Volgendomi verso il tuo Nemico, attendo il giorno in cui ruberà il tuo sole per appenderlo a un altro universo.
Emil 113
DIVAGAZIONI IN UN CONVENTO
Non c'è, per l'incredulo, amante dello sperpero e della dispersione, spettacolo più sconcertante di questi rimuginatori d'assoluto...Donde traggono tanta ostinazione nell'inverificabile, tanta attenzione al vago e tanto ardore nel coglierlo?
Davvero non capisco le loro certezze, né la loro serenità. Essi sono felici e io rimprovero loro di esserlo. Se almeno odiassero se stessi! Invece stimano la loro "anima" più dell'universo: questo falso giudizio è all'origine di sacrifici e di rinunce totalmente assurdi. Mentre noi facciamo esperienze senza coerenza né sistema, in balìa del caso e dei nostri umori, essi ne fanno soltanto una, sempre la stessa, di una monotonia e di una profondità che ripugnano. è vero che Dio ne è l'oggetto, ma quale interesse possono ancora trovarvi? Sempre eguale a se stesso, infinito di identica natura, egli non si rinnova; potrei riflettere su di lui incidentalmente, ma riempire di lui le mie ore...!
... Non è ancora giorno. Dalla mia cella sento delle voci, e i ritornelli secolari - offerte a un cielo latino e banale. Poco fa, nella notte, dei passi si precipitavano verso la chiesa. Il mattutino! Tuttavia, anche se Dio in persona assistesse alla propria celebrazione, io non scenderei dal letto con un freddo simile! Ma, ad ogni modo, deve esistere, altrimenti questi sacrifici di creature di carne, che si scrollano di dosso la pigrizia per adorarlo, sarebbero di una tale insania che la ragione non potrebbe sopportarne il pensiero.
Le prove della teologia sono futili a paragone di questo affaticamento che rende perplesso l'incredulo e lo costringe ad attribuire un senso e un'utilità a simili sforzi.
A meno che non si rassegni a una visione estetica di queste insonnie volute, e non scorga nella vanità di queste veglie l'avventura più gigantesca, la ricerca di una Bellezza di nonsenso e di terrore... Lo splendore di una preghiera che non si rivolge a nessuno! Ma qualche cosa deve esserci: quando questo Probabile
si muta in certezza, la felicità non è più una semplice parola, tanto è vero che la sola risposta al nulla si trova nell'illusione. Come hanno acquisito quest'illusione, denominata - sul piano assoluto - grazia? In virtù di quale privilegio sono stati indotti a sperare ciò che nessuna speranza del mondo ci lascia intravedere? Con quale diritto si insediano in un'eternità che ogni cosa ci nega?
Con quale sotterfugio questi possessori - i soli veri possessori che abbia mai incontrato - si sono appropriati il mistero per goderne? Dio appartiene loro: cercare di portarglielo via, sarebbe vano; essi stessi non conoscono il procedimento grazie al quale se ne sono impadroniti. Un bel giorno credettero. Taluno si è convertito per semplice chiamata: credeva senza esserne consapevole; quando lo fu, prese l'abito. Talaltro ha conosciuto tutti i tormenti: cessarono dinanzi a una luce improvvisa. Non si può volere la fede. Come una malattia, essa si insinua in te oppure ti colpisce; nessuno potrebbe averla a comando ed è assurdo augurarsela se non vi si è predestinati. Si è credenti o non lo si è, come si è pazzi o si è normali. Io non posso credere né desiderare di credere: la fede, forma di delirio a cui non sono soggetto... La posizione dell'incredulo è altrettanto impenetrabile di quella del credente. Io mi dedico al piacere di essere deluso: è l'essenza stessa del secolo; al di sopra del Dubbio pongo soltanto il diletto che ne proviene...
E rispondo a tutti questi monaci rosei o clorotici: "è inutile che insistiate. Anch'io ho guardato verso il cielo, ma non ho visto niente. Rinunciate a convincermi: se talvolta ho potuto trovare Dio per deduzione, non lo ho mai trovato nel mio cuore: se anche lo trovassi, non potrei seguirvi sulla vostra via o nelle vostre smorfie, e ancora meno in quei balletti che sono le vostre messe e le vostre compiete. Niente supera le delizie dell'inoperosità, venisse anche la fine del mondo, non lascerei il mio letto a un'ora impossibile: come non potrei mai correre in piena notte a immolare il mio sonno sull'altare dell'Incerto? Anche se la grazia mi obnubilasse e le estasi mi facessero fremere senza tregua, qualche sarcasmo basterebbe a distrarmene. Oh no, davvero, avrei paura di ghignare nelle mie preghiere, e di dannarmi così assai più per la fede che non per l'incredulità. Risparmiatemi uno sforzo ulteriore: in ogni caso le mie spalle sono troppo stanche per sostenere il cielo...".
Emil 112
L'ANIMALE METAFISICO
Magari potessimo cancellare tutto ciò che la Nevrosi ha iscritto nello spirito e nel cuore, tutte le tracce malsane che vi ha lasciato, tutte le ombre impure che l'accompagnano! Ciò che non è superficiale è sudicio. Dio: frutto dell'inquietudine delle nostre viscere e del gorgoglio delle nostre idee...
Soltanto l'aspirazione al Vuoto ci preserva da quell'esercizio di contaminazione che è l'atto di credere. Quale limpidezza nell'Arte dell'apparenza, nell'indifferenza ai nostri fini e ai nostri disastri! Pensare a Dio, tendere a lui, invocarlo o subirlo - moti di un corpo guasto e di uno spirito disfatto! Le epoche nobilmente superficiali - il Rinascimento, il XVIII secolo - si burlarono della religione, ne disprezzarono i rudimentali sollazzi. Ma, ahimè, c'è in noi una tristezza plebea che offusa i nostri fervori e i nostri concetti. Inutilmente sogniamo un universo di merletto; Dio, nato dalle nostre profondità, dalla nostra cancrena, profana questo sogno di bellezza. Siamo animali metafisici per la putrefazione che alberghiamo in noi. Storia del pensiero: parata delle nostre debolezze; vita dello Spirito: sequela delle nostre vertigini. La salute ci abbandona? L'universo ne soffre, e segue la curva della nostra vitalità.
Rimuginare il "perchè" e il "come", risalire di continuo fino alla Causa - e a tutte le cause -, denota un disordine delle funzioni e delle facoltà che termina in "delirio metafisico" - rimbambimento nell'abisso, capitombolo dell'angoscia, laidezza ultima dei misteri...
GENESI DELLA TRISTEZZA
Non c'è insoddisfazione profonda che non sia di natura religiosa: i nostri fallimenti derivano dalla nostra incapacità di concepire il paradiso e di aspirare ad esso, come i nostri malesseri dalla fragilità delle nostre relazioni con l'assoluto. "Sono un animale religioso incompleto, soffro doppiamente tutti i mali" - adagio della Caduta che l'uomo si ripete per consolarsene. Non riuscendovi, ricorre alla morale, deciso a seguirne, a rischio di apparire ridicolo, il consiglio edificante. "Risolviti a non essere più triste" essa gli risponde. Ed egli si sforza di entrare nell'universo del Bene e della Speranza... Ma i suoi sforzi sono inefficaci e contro natura: la tristezza risale fino alla radice della nostra perdita, la tristezza è la poesia del peccato originale...
Emil 111
LA CROCE INCLINATA
Guazzabuglio sublime, il cristianesimo è troppo profondo - e soprattutto troppo impuro - per durare ancora: ha i secoli contati.
Gesù diventa ogni giorno più insipido; i suoi precetti, come la sua dolcezza, irritano; i suoi miracoli e la sua divinità fanno sorridere. La Croce pencola: da simbolo torna a essere materia... e rientra nell'ordine della decomposizione in cui periscono senza eccezione le cose indegne come quelle onorabili. Due millenni di successo! Rassegnazione stupefacente da parte dell'animale più irrequieto... Ma la nostra pazienza è esaurita. L'idea che ho potuto - come tutti - essere sinceramente cristiano, fosse anche per un solo secondo, mi getta nello smarrimento. Il Salvatore mi annoia. Sogno un universo immune da intossicazioni celesti, un universo senza croce né fede. Come non prevedere il momento in cui non vi sarà più religione, in cui l'uomo, chiaro e vuoto, non disporrà più di nessuna parola per designare i suoi abissi? - L'Ignoto sarà altrettanto scialbo del noto; tutto sarà privo di interesse e di sapore. Sulle rovine della Conoscenza, una letargia sepolcrale farà di noi tutti degli spettri, eroi lunari dell'Incuriosità...
TEOLOGIA
Sono di buon umore: Dio è buono; sono triste: Dio è cattivo; indifferente: è neutro. I miei stati d'animo gli conferiscono attributi corrispondenti: quando amo il sapere, egli è onnisciente, e quando adoro la forza, è onnipotente. Mi sembra che le cose esistano? Egli esiste. Ma paiono illusorie? Sparisce. Mille argomenti lo sostengono, mille lo demoliscono; se i miei entusiasmi lo animano, le mie collere lo soffocano. Non potremmo creare un'immagine più mutevole: lo temiamo come un mostro e lo schiacciamo come un insetto; lo idolatriamo: è l'Essere; lo respingiamo: è il Nulla. La preghiera, se anche dovesse soppiantare la Gravitazione, non riuscirebbe a garantirgli una durata universale: resterebbe sempre in balìa delle nostre ore. Il suo destino ha voluto che fosse immutabile solo agli occhi degli ingenui o dei ritardati. Un esame lo rivela: causa inutile, assoluto insensato, patrono dei babbei, passatempo dei solitari, fuscello o fantasma a seconda che diventa il nostro spirito oppure ossessioni le nostre febbri.
Se sono generoso, si gonfia di attributi; se sono esacerbato, è carico d'assenza. L'ho vissuto in tutte le sue forme: non resiste né alla curiosità né alla ricerca: il suo mistero, il suo infinito si svilisce; il suo splendore si appanna; le sue malie si attenuano. è un abito logoro di cui bisogna spogliarsi: come avvolgerci ancora in un Dio cencioso? La sua degradazione, la sua agonia, si protrae attraverso i secoli, ma Egli non sopravviverà a noi, sta invecchiando: i suoi rantoli precederanno i nostri. Una volta esauriti i suoi attributi, nessuno avrà più l'energia di fabbricargliene di nuovi; e la creatura, che li ha assunti e poi respinti, andrà a raggiungere nel nulla la sua più alta innovazione: il suo creatore.
Emil 110
OSCILLAZIONE
Tu cerchi invano il tuo modello fra gli esseri umani: da quelli che si sono spinti più lontano di te non hai mutato altro che l'aspetto compromettente e nocivo: dal saggio, la pigrizia; dal santo, l'incoerenza; dall'esteta, l'asprezza; dal poeta, la spudoratezza - e da tutti, il disaccordo con se stessi, l'equivoco nelle cose quotidiane e l'odio di ciò che vive semplicemente per vivere. Puro, rimpiangi il fango; sordido, il pudore; sognatore, la rudezza. Tu non sarai mai nient'altro che ciò che non sei, e la tristezza di essere ciò che sei. Di quali contrasti fu impregnata la tua sostanza, e quale genio discordante presiedette alla tua relegazione nel mondo? L'accanimento a sminuirti ti ha fatto sposare negli altri la loro brama di rovina: in quel tale musicista, la tale malattia; in quel tale profeta, una certa tara; e nelle donne - poetesse, libertine o sante -, la loro malinconia, la loro linfa alterata, la loro corruzione di carne e di sogno. L'amarezza, principio della tua determinazione, tuo modo di agire e di capire, è il solo punto fisso nella tua oscillazione fra il disgusto del mondo e la pietà di te stesso.
MINACCIA DI SANTITà
Non potendo vivere se non al di qua o al di là della vita, l'uomo è esposto a due tentazioni, l'imbecillità e la santità: sottouomo o superuomo, mai se stesso. Ma, se non soffre per la paura di essere meno di ciò che è, la prospettiva di essere di più lo terrorizza. Votato al dolore, ne teme l'esito: come potrebbe accettare di precipitare in quell'abisso di perfezione che è la santità, e di perdervi il proprio controllo? Scivolare verso l'imbecillità o verso la santità significa lasciarsi trainare al di fuori di sé. Tuttavia non ci si spaventa di quella perdita di coscienza che implica l'avvicinamento all'idiozia, mentre la prospettiva della perfezione è inseparabile dalla vertigine. Proprio in virtù dell'imperfezione siamo superiori a Dio, e proprio il timore di perderla ci fa rifuggire dalla santità! Il terrore di un avvenire in cui non saremmo più disperati, in cui, al termine dei nostri disastri, ne comparirebbe un altro, inauspicato: quello della salvezza; il terrore di diventare santi...
Chi adora le proprie imperfezioni è impaurito dalla trasfigurazione che le sue sofferenze potrebbero preparargli. Scomparire in una luce trascendente... Tanto varrebbe incamminarsi verso l'assoluto delle tenebre, verso i piaceri dell'imbecillità...
Emil 109
INTORNO A CERTE SOLITUDINI
Vi sono cuori in cui Dio non potrebbe guardare senza perdere la propria innocenza. La tristezza è incominciata al di qua della creazione: se il Creatore fosse penetrato più addentro nel mondo, avrebbe compromesso il proprio equilibrio. Chi crede che si possa ancora morire non ha conosciuto certe solitudini, né l'inevitabile dell'immortalità percepito in certe angosce...
è la fortuna di noi moderni aver situato l'inferno in noi stessi: se avessimo conservato la sua antica immagine, la paura, alimentata da duemila anni di minacce, ci avrebbe pietrificati. Non abbiamo più terrori che non siano trasposti soggettivamente: la psicologia è la nostra salvezza, la nostra scappatoia. Un tempo si credette che il mondo fosse uscito da uno sbadiglio del Diavolo; oggi non è più che un errore dei sensi, un pregiudizio dello spirito, un vizio del sentimento. Sappiamo come regolarci davanti alla visione del Giudizio universale di santa Ildegarda o davanti a quella dell'Inferno di santa Teresa: il sublime - quello dell'orrore come quello dell'elevazione - è classificato in qualsiasi trattato sulle malattie mentali. E se conosciamo i nostri mali, non per questo siamo immuni da visioni: ma non ci crediamo più. Versati nella chimica dei misteri, noi spieghiamo tutto, perfino le nostre lacrime. Una cosa resta però inesplicabile: se l'anima è così poca cosa, da dove viene il nostro sentimento della solitudine?
Quale spazio occupa? E come sostituisce, d'un tratto, l'immensa realtà svanita?
Emil 108
CIELO E IGIENE
La santità: frutto supremo della malattia; quando si è in buona salute, essa sembra mostruosa, inintelligibile e malsana al massimo grado. Ma basta che quell'amletismo automatico che è la Nevrosi reclami i suoi diritti, perchè i cieli prendano forma e costituiscano la cornice dell'inquietudine. Ci si difende dalla santità curandosi: essa proviene da una sporcizia particolare del corpo e dell'anima. Se il cristianesimo avesse proposto l'igiene in luogo dell'Inverificabile, si cercherebbe inutilmente, nel corso della sua storia, un solo santo; ma esso ha coltivato le nostre piaghe e il nostro sudiciume, un sudiciume intrinseco, fosforescente...
La salute: arma decisiva contro la religione. Inventate l'elisir universale: il cielo sparirà per sempre. è inutile sedurre l'uomo con altri ideali: saranno più deboli delle malattie. Dio è la nostra ruggine, il deperimento insensibile della nostra sostanza: quando Egli ci penetra, noi crediamo di elevarci, ma discendiamo sempre di più; quando siamo giunti al termine, egli incorona il nostro decadimento, ed eccoci "salvati" per sempre. Superstizione sinistra, cancro aureolato che rode la terra da millenni...
Odio tutti gli dèi; non sono abbastanza sano da disprezzarli. è questa la grande umiliazione dell'Indifferente.
Emil 107
ISTERIA DELL'ETERNITà
Capisco che si possa avere il gusto della Croce, ma riprodurre tutti i giorni l'avvenimento trito del Calvario ha un che di meraviglioso, di insensato e di stupido. Poiché alla fine anche il Salvatore, se si abusa delle sue malie, è tedioso al pari di chiunque altro.
I santi furono dei grandi perversi, come le sante furono delle magnifiche voluttuose. Gli uni e le altre - folli di una sola idea - trasformarono la croce in vizio. La "profondità" è la dimensione di coloro che non sono in grado di variare i loro pensieri e i loro appetiti, e che esplorano una stessa ragione del piacere e del dolore. Attenti al fluttuare degli istanti, non siamo capaci di ammettere un avvenimento assoluto: Gesù non potrebbe dividere la storia in due, né l'irruzione della Croce spezzare il corso imparziale del tempo. Il pensiero religioso - forma di pensiero ossessivo - sottrae all'insieme degli avvenimenti una porzione temporale e la investe di tutti gli attributi dell'Incondizionato.
è in questo modo che gli dèi e i loro figli furono possibili...
La vita è il luogo delle mie infatuazioni: tutto ciò che strappo all'indifferenza glielo restituisco quasi immediatamente. Non così agiscono i santi: essi scelgono una volta per tutte. Io vivo per distaccarmi da tutto quello che amo, loro per infatuarsi di un solo oggetto; io assaporo l'eternità, loro vi si inabissano.
Le meraviglie della terra - e, a maggior ragione, quelle del cielo - provengono da un'isteria duratura. La santità: terremoto del cuore, annientamento a furia di credere, espressione culminante della sensibilità fanatica, deformità trascendente... Fra un illuminato e un semplice di spirito vi è maggiore corrispondenza che non fra il primo e uno scettico. Ecco tutta la distanza che separa la fede dalla conoscenza senza speranza, dall'esistenza senza risultato.
TAPPE DELL'ORGOGLIO
Frequentando la follia dei santi, vi capita di dimenticare i vostri limiti, le vostre catene, i vostri fardelli, e di esclamare: "Io sono l'anima del mondo; imporporo l'universo con i miei ardori. Ormai non vi sarà più notte: ho preparato la festa eterna degli astri; il sole è superfluo: tutto riluce, e le pietre sono più lievi delle ali degli angeli".
Poi, tra la frenesia e il raccoglimento: "Se non sono questa Anima, almeno aspiro ad esserlo. Non ho forse dato il mio nome a tutti gli oggetti? Tutto mi proclama, dai letamai alle volte celesti: non sono io il silenzio e il frastuono delle cose?"
E, al punto più basso, passata la sbornia: "Sono la tomba delle faville, il ludibrio del verme, una carogna che importuna l'azzurro, un emulo carnevalesco dei cieli, un ex Nulla senza nemmeno il privilegio di essere mai imputridito. Sono dunque giunto a tale perfezione d'abisso da non aver più spazio per decadere?"
Emil 106
SPAGNA
Ogni popolo trasferisce nel divenire, a suo proprio modo, gli attributi divini; l'ardore della Spagna però rimane unico; se esso fosse stato condiviso dal resto del mondo, Dio sarebbe esaurito, spossessato e vuoto di Se stesso. Ed è proprio per non scomparire che egli, nei suoi paesi, fa prosperare - per autodifesa - l'ateismo. Avendo paura dei fervori che ha ispirato, reagisce contro i propri figli, contro la loro frenesia che lo sminuisce; il loro amore scuote il suo potere e la sua autorità; soltanto l'incredulità lo lascia intatto; non sono i dubbi che lo logorano, ma la fede. Da secoli la Chiesa trivializza il suo prestigio, e rendendolo accessibile gli prepara, grazie alla teologia, una morte senza enigmi, un'agonia commentata, delucidata: oppresso sotto il peso delle preghiere, come potrebbe non esserlo sotto quello delle spiegazioni? Egli teme la Spagna come teme la Russia: e vi moltiplica gli atei. I loro attacchi gli fanno almeno conservare ancora l'illusione dell'onnipotenza: è pur sempre un attributo salvato. Ma i credenti! Dostoevskij, El Greco: ha egli mai avuto nemici più febbrili? E come potrebbe non preferire Baudelaire a san Giovanni della Croce? Egli teme quelli che lo vedono e quelli attraverso i quali Egli vede.
Ogni forma di santità è più o meno spagnola: se Dio fosse un ciclope, la Spagna sarebbe il suo occhio.
Emil 105
LA DONNA E L'ASSOLUTO
"Mentre nostro Signore mi parlava e io contemplavo la sua meravigliosa bellezza, notavo la dolcezza e talvolta la severità con le quali la sua bocca così bella e così divina proferiva le parole. Avevo un desiderio estremo di sapere quali fossero il colore dei suoi occhi e le proporzioni della sua figura, onde poterne parlare: mai ho meritato di averne conoscenza. Ogni sforzo in questo senso è completamente inutile" (santa Teresa).
Il colore dei suoi occhi... Impurità della santità femminile! Portare fino in cielo l'indiscrezione del proprio sesso: questo può consolare e risarcire tutti quelli - e, ancora meglio, quelle - che sono rimasti al di qua dell'avventura divina. Il primo uomo, la prima donna: ecco l'essenza permanente della Caduta che niente, né il genio né la santità, riscatterà mai. Si è forse veduto un solo uomo nuovo, in tutto superiore a quello che egli fu? Per Gesù stesso la Trasfigurazione probabilmente non significò altro che un episodio fuggevole, una tappa senza seguito...
Fra santa Teresa e le altre donne vi sarebbe dunque soltanto una differenza nella capacità di delirare, una questione di intensità e di direzione dei capricci. L'amore - umano o divino - livella gli esseri: amare una sgualdrina o amare Dio presuppone un medesimo movimento: in entrambi i casi si segue un impulso da creatura. Soltanto l'oggetto cambia; ma quale interesse offre, dal momento che esso è solo un pretesto per il bisogno di adorare, e che Dio è semplicemente un diversivo fra tanti altri?
Emil 104
IL DISCEPOLO DEI SANTI
Vi fu un tempo in cui anche soltanto pronunciare il nome di una santa mi riempiva di delizia, un tempo in cui invidiavo i cronisti dei conventi, gli intimi di tante ineffabili isterie, di tante illuminazioni e di tanti pallori. Ritenevo che essere il segretario di una santa costituisse la carriera più alta concessa a un mortale. E immaginavo il ruolo di confessore di queste ardenti beate, e tutti i particolari, tutti i segreti che un Pietro di Alvastra ci ha nascosto su Santa Brigida di Svezia, Enrico di Halle su Matilde di Magdeburgo, Raimondo da Capua su Caterina da Siena, frate Arnaldo su Angela da Foligno,Giovanni di Marienwerder su Dorotea di Montau, Clemens Brentano su Anna Katharina Emmerich... Mi pareva che una Diodata degli Ademari o una Diana d'Andalo si elevassero al cielo per il solo fascino del loro nome: esse mi davano il gusto sensuale per un altro mondo.
Quando consideravo le prove di Rosa da Lima, di Liduina di Schiedam, di Caterina Ricci e di tante altre, quando pensavo alla raffinatezza della loro crudeltà verso se stesse, ai loro supplizi di autotorturatrici e alla mortificazione deliberata delle loro attrattive e delle loro grazie, odiavo il parassita delle loro angosce, il Fidanzato senza scrupoli, insaziabile e celeste Don Giovanni, che deteneva il diritto di primo occupante nei loro cuori. Estenuato dai sospiri e dai sudori dell'amore terrestre, mi volgevo verso queste donne, non fosse che per la loro ricerca di un diverso modo di amare. "Se una sola goccia di quello che sento" diceva Caterina da Genova, "cadesse all'Inferno, lo trasformerebbe immediatamente in Paradiso". Attendevo quella goccia che, se fosse caduta, mi avrebbe raggiunto al termine del suo percorso...
Ripetendomi le esclamazioni di Teresa d'Avila, la vedevo gridare all'età di sei anni: "Eternità, eternità", quindi seguivo l'evoluzione dei suoi deliri, dei suoi ardori, dei suoi stati di aridità. Niente di più attraente delle rivelazioni private, che sconvolgono i dogmi e imbarazzano la Chiesa... Mi sarebbe piaciuto conservare il diario di quelle confessioni equivoche, pascermi di tutte quelle nostalgie sospette...
Non è certo in un letto che si toccano i vertici della voluttà: come trovare nell'estasi sublunare ciò che le sante lasciano intuire nei loro rapimenti? Di che genere fossero i loro segreti lo abbiamo appreso grazie a Bernini e alla sua statua della santa spagnola a Roma, che ci induce a non poche considerazioni sull'ambiguità dei suoi deliqui...
Quando ripenso a chi ha avuto il merito di farmi intravedere il culmine della passione, i fremiti più torbidi come quelli più puri, e quella sorta di mancamento in cui le notti si incendiano, in cui il minimo filo d'erba e gli astri si fondono in una voce allegra e convulsa - infinita istantanea, incandescente e sonora quale potrebbe concepirla un dio felice e demente -, quando ripenso a tutto questo, un solo nome mi ossessiona: Teresa d'Avila - e le parole di una delle sue rivelazioni che io mi ripetevo ogni giorno: "Tu non devi più parlare con gli uomini ma solo con gli angeli".
Sono vissuto per anni all'ombra delle sante, pensando che non ci fosse poeta, sapiente o folle che potesse mai eguagliarle. Ho prodigato nel mio fervore per loro tutta la mia capacità di adorazione, di vitalità nei desideri, di ardore nei sogni. E poi...ho cessato di amarle.
SAGGEZZA E SANTITà
Di tutti i grandi malati, i santi sono coloro che sanno trarre il miglior partito dai loro mali.
Nature decise, smodate, sfruttano il loro squilibrio con abilità e violenza. Il Salvatore, loro modello, fu un esempio di ambizione e di audacia, un conquistatore senza pari: la sua forza d'insinuazione, il suo potere di identificarsi con le mancanze e con le tare dell'anima, gli consentirono di fondare un regno che mai spada poté sognare. Appassionato con metodo: questa è la capacità che imitarono coloro che ne fecero il proprio ideale.
Ma il saggio, sdegnoso del dramma e del fasto, si sente lontano dal santo quanto dal gaudente, ignora il romanzo e si crea un equilibrio di disinganno e indifferenza. Pascal è un santo senza temperamento: la malattia ha fatto di lui un po' più di un saggio un po' meno di un santo. Questo spiega i suoi ondeggiamenti e l'ombra scettica che accompagna i suoi fervori. Un bello spirito nell'Incurabile...
Dal punto di vista del saggio, non potrebbe esservi nessuno più impuro del santo; dal punto di vista di quest'ultimo, nessuno più vuoto del saggio. Sta qui tutta la differenza fra l'uomo che capisce e l'uomo che aspira.
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